Il sindaco della cittadina ungherese, a 2 chilometri dell’Ucraina, racconta come una comunità di 4mila persone abbia accolto 8mila profughi ogni giorno. Il ruolo di Fondazione Cesvi

È l’ultimo treno della notte. Dall’Ucraina. E Záhony è la sua ultima fermata. Qui scende un marea umana disorientata e angosciata. Donne, bambini, anziani. Zaini, borse, buste: dentro tutto ciò che hanno potuto sottrarre alla guerra e conservare per un futuro sconosciuto. Un viaggio duro e difficile, affollati in un treno sul quale sono saliti dopo un altro viaggio in auto, in pullman, spesso a piedi. Verso una meta, l’Ungheria, che se avessero potuto scegliere, forse avrebbero evitato. Un viaggio duro per tutti. Per qualcuno più di altri.
“Li abbiamo visti scendere e fermarsi. Erano 8 anziani. Ci siamo avvicinati e abbiamo capito. Qualcuno era cieco, tutti avevano qualche disabilità. Uno mi ha chiesto: ‘ma dove siamo?’. Non lo sapeva lui né gli altri suoi 7 compagni di viaggio. Abbiamo capito che erano stati fatti salire sul primo treno per dargli una speranza di sopravvivere. Li abbiamo accolti ma non abbiamo saputo rispondere alla sua seconda domanda: ‘potrò tornare in Ucraina?’”.
László Helmeczi è il sindaco di Záhony. Ha 53 anni. Era un imprenditore: si occupava di un internet provider e di un supermercato. Poi, nel 2014, ha fatto la scelta di essere sindaco di questa piccola città dell’Ungheria: 4.000 abitanti. Sconosciuta ai più ma nota a chi si occupa di collegamenti ferroviari: è lo snodo tra Slovacchia, Ungheria e Ucraina e, nei nuovi progetti, punto di arrivo dei corridoi transeuropei Ten-T che interessano il paese e che entro il 2030 avrebbero dovuto attraversare l’area centrale dell’Ungheria. Appunto fino a Záhony.
Tutto questo fino al 23 febbraio 2022. Il giorno dopo è cambiato tutto. La città di László Helmeczi non è diventato uno snodo del traffico merci dell’Europa centrale ma il punto di arrivo e di ripartenza di migliaia di ucraini in fuga dalla guerra. I numeri contano per provare a capire cosa è accaduto: “a febbraio e marzo abbiamo avuto una media di 8mila nuovi arrivi al giorno, ad aprile siamo scesi a 4mila e a maggio a 2mila. Non immaginavamo la possibilità della guerra e non eravamo pronti a raccogliere profughi. Tanto meno con questi numeri”. László Helmeczi ha messo a frutto la sua esperienza di imprenditore, organizzando subito la prima accoglienza e perfezionandola con strutture dedicate in soli 3 giorni. E la sua credibilità di sindaco “civico” (non legato né al partito di maggioranza né a quelli di opposizione) motivando e mettendo in azione la sua piccola comunità. “Quando ho visto arrivare le masse dei profughi, il mio primo pensiero è stato che ero responsabile di aiutare queste persone. I primi ai quali ho chiesto sostegno sono stati i miei amici e poi il cerchio si è progressivamente allargato a tutta Záhony. Abbiamo dovuto prendere decisioni rapide perché non c’era tempo. Le priorità? Un ambiente riscaldato, da mangiare, da dormire. E poi sostegno alle persone fragili e ai bambini. Quindi le informazioni e l’aiuto per chi proseguiva il viaggio: verso Budapest o altri paesi europei. Uno sforzo enorme per la piccola comunità di Záhony. Il Governo ungherese ha collaborato con 10 euro al giorno per ogni rifugiato in transito. L’Agenzia Onu per i rifugiati è arrivata nei tempi che le sono stati possibili. “Di grande aiuto – ricorda László Helmeczi – sono state le associazioni internazionali di volontariato. Non solo ci hanno dato un sostegno concreto e immediato ma hanno anche potenziato la nostra capacità di organizzazione e la nostra visione generale”. Tra queste c’è Cesvi che è arrivata a Záhony il 3 marzo.
Roberto Vignola è il vice Direttore generale: “abbiamo organizzato un Entry Point Hub in collaborazione con la municipalità di Záhony e World Central Kitchen e grazie al sostegno di Fastweb. Qui lavorano 50 nostri volontari, divisi in due turni, che hanno coperto, nelle prime settimane, le 24 ore. Nelle fasi più acute della crisi, sono stati preparati anche 10mila pasti al giorno e distribuite acqua e bevande calde a chi fuggiva dalla guerra, date informazioni sul loro successivo percorso migratorio. Abbiamo organizzato una “stazione” di ricarica dei cellulari: è il mezzo principale con cui mantengono i contatti con le loro famiglie rimaste in Ucraina. È un luogo dove possono recuperare un minimo di quella serenità che è andata perduta”.
Ai primi di giugno László Helmeczi è stato in Italia. “Per ringraziare tutti quelli che ci sono stati vicini e continuano a farlo”. Ad Arezzo ha partecipato ad un incontro con le associazioni di volontariato, alcune delle quali ospitano profughi ucraini in Casentino.
“Penso che abbiamo fatto la cosa giusta – conclude il Sindaco di Záhony. E sono orgoglioso di come siamo riusciti a cambiare la percezione della nostra gente nei confronti degli stranieri. I rapporti tra ucraini e ungheresi non erano mai stati eccezionalmente positivi ma stavolta si è creata un’unica comunità. Noi ci siamo impegnati tutti, senza eccezioni, per accogliere gli ucraini e loro lo hanno capito. Dopo secoli, molto è cambiato in pochissimi giorni”. A un prezzo carissimo.

Andrea, una vita al servizio di chi ha perduto tutto

La storia di Andrea Ricci che con Judit Zsedenyi ha avviato e gestito l’intervento Cesvi a Záhony

Nato a Bibbiena Stazione, nella valla toscana del Casentino, Andrea Ricci, ha studiato cooperazione internazionale a Firenze ed ha poi fatto dell’aiuto umanitario la sua scelta di vita. “Mi reputo una persona fortunata e ho sempre avuto l’esigenza di aiutare chi non lo è stato come me e chi continua a pagare, ancora oggi, le scelte scellerate di pochi. Ho lavorato in molte situazioni di emergenza, spesso in luoghi in cui le crisi erano causate da disastri naturali: Turchia, Corsica, Sardegna, Portogallo, Myanmar, Nepal e India. Da 3 anni lavoro per Cesvi Fondazione Onlus e oggi sono a Záhony, al confine con l’Ucraina”.
Il 24 febbraio era a Budapest. “La notizia dello scoppio della guerra mi ha sconvolto e creato timore. In un secondo momento, alla paura si è sostituita la volontà di fare la mia parte per aiutare le persone in fuga dalla guerra. Con la mia compagna, nonché collega e project manager di Cesvi per il progetto in Ungheria, Judit Zsedenyi, abbiamo visitato i 135 chilometri di confine che dividono Ungheria e Ucraina. Tra i 5 punti di entrata abbiamo identificato Záhony come potenziale punto critico. Questo è l’unico punto in cui i rifugiati possono entrare in Ungheria con il treno”.
Qui il 4 marzo hanno incontrato il sindaco Laszlo Helmeczi e gli hanno presentato l’idea di supporto. La proposta è stata approvata dal Consiglio comunale di Záhony l’8 marzo.
“Il giorno dopo abbiamo installato la tensostruttura. L’intervento ha permesso di offrire ad oltre 100mila rifugiati i vari servizi e soprattutto di garantire loro dignità e l’inequivocabile sensazione di essere fuori dal pericolo, in un ambiente familiare, riscaldato e protetto. Tanto è stato fatto grazie al contributo di molti individui e imprese, ma tanto ancora è da fare. Infatti, ora che i servizi essenziali sono garantiti, vogliamo concentrarci sulle vittime più innocenti del conflitto, i bambini e le bambine. Quest’ultimi arrivano senza aver la chiara comprensione di cosa sta succedendo, ma con la netta sensazione di essere nel mezzo di un evento traumatico. Intendiamo quindi creare degli spazi sicuri per i più piccoli, quali parchi giochi, asili temporanei e aule studio, assumere personale professionista per la cura dell’infanzia e adolescenza così da essere in grado di offrire tutti i servizi e le attività necessarie per supportare i bambini a superare i traumi della guerra e per creare opportunità nella loro vita”.
A Záhony la sensazione è di essere davanti alla più grossa crisi umanitaria dal dopoguerra ad oggi. “Quando si parla di tragedie causate dall’uomo – conclude Andrea Ricci – fa ancora più male, perché queste sono sempre evitabili”.

Fondazione Cesvi

Fondazione Cesvi è un’organizzazione umanitaria italiana laica e indipendente, nata a Bergamo nel 1985. Presente in 23 Paesi, Cesvi opera in tutto il mondo per trasformare l’intervento umanitario in una occasione per costruire progetti di lungo periodo in grado di promuovere l’autosviluppo e il protagonismo dei beneficiari. Cesvi, lavora per garantire la sicurezza alimentare, promuove lo sviluppo sostenibile e agisce per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Nel mondo protegge i bambini più vulnerabili attraverso le Case del Sorriso e in Italia è impegnata per la prevenzione e il contrasto del maltrattamento infantile e nell’integrazione di minori stranieri non accompagnati. Realizza campagne di sensibilizzazione per incoraggiare tutti a diventare cittadini attivi e responsabili. Nel 2020, Cesvi ha aiutato più di 1,7 milioni di persone, investendo il 92% delle proprie risorse sul campo. Premiata tre volte con l’Oscar di Bilancio per la trasparenza, Cesvi è parte del network europeo Alliance2015. Sostiene i profughi ucraini non solo in Ungheria ma anche in Romania e Polonia. Consegna aiuti umanitari direttamente in Ucraina. Per info: www.cesvi.org