Felice Tagliaferri crea sculture non viste, create dalla sua mente e nate attraverso uno straordinario e consapevole uso delle mani

Felice. Di nome e di fatto.
Sono passati pochi giorni dal nostro incontro e ho ancora nitido il ricordo della forza – non intesa come potenza, ma come ricerca tattile e di contatto – della sua stretta di mano, la pienezza del suo abbraccio. Con il tocco studia senza invadere, conosce e capisce chi sei. Ti senti nudo, non puoi mentirgli. Felice non vede più. Ha perso la vista a 14 anni in seguito a una malattia e a 24 ha iniziato a essere uno scultore.
Gli impongo una domanda retorica e banale, ma impossibile da evitare. Come ha vissuto questo cambiamento, come si fa a non dare di matto? Sorride. L’ha vissuta come tutte le cose. Male all’inizio ma poi, dopo due anni, ha trovato il suo perché. Mi risponde così, con il sorriso di chi ama la vita, nonostante tutto, senza arrendersi alle difficoltà.
Felice Tagliaferri ora ha 53 anni ed è un uomo bello. Qualcuno, a causa della prestanza fisica, ipotizza una somiglianza con Silvester Stallone. A me fa pensare più a un Michelangelo dei nostri tempi. Alla fine degli anni Novanta, incontrò il maestro Nicola Zamboni, docente dell’Accademia delle Belle Arti di Brera e famoso scultore bolognese. Zamboni volle capire se i ciechi potessero creare cose non conosciute, come una caffettiera o uno spazzolino da denti. Così chiese ad alcune persone non vedenti di andare al suo laboratorio. Felice era tra queste persone. Per gli altri è stata un’esperienza di vita, per lui l’esperienza che gli ha letteralmente cambiato la vita. Da allora, ha imparato a trovare il modo per rendere possibile l’impossibile ed è così che ha iniziato a credere che potesse essere capace di «dare forma ai sogni», che è diventato anche il suo motto.
Le sue creazioni sono sculture non viste, create dalla sua mente e nate attraverso uno straordinario e consapevole uso delle mani. Cura meticolosamente l’aspetto tattile di ogni sua opera. È proprio grazie al tatto che vengono rivelati dettagli che non si possono percepire in assenza della vista.
Lavora con maestria e con tecniche differenti il marmo, il legno, la creta, la pietra e ha partecipato a numerose mostre, concorsi a livello internazionale, simposi, installazioni e sculture di piazza in molte città italiane. Gli esperti del settore definiscono il suo lavoro “arte sociale”. È veramente così: lo scopo è rendere l’arte fruibile a tutti, secondo le proprie capacità intellettive e sensoriali. Insomma, l’arte concepita senza barriere. Una delle sue opere più famose ne è un esempio: il Cristo Rivelato. Nata nel 2008, durante una visita nella quale non gli fu consentito di vedere a suo modo, cioè con le mani, la celebre scultura di Giuseppe Sanmartino, esposta nella Cappella Sansevero di Napoli. Pensò di proporre una sua versione dell’opera originale affinché potesse essere disponibile alla fruizione tattile, perché «l’arte è universale e come tale deve essere accessibile a tutti secondo le proprie possibilità». Così, donò ai non vedenti un Cristo velato per la seconda volta, appunto, “ri-velato”.

L’oasi dello sport per tutti

Il Canoa Club Ferrara ospita discipline paralimpiche. Qui Tagliaferri sta realizzando il suo Ulisse

Mi ritrovo con Felice Tagliaferri in un luogo magico: l’impianto sportivo L’Oasi di Vigarano Pieve, acquistato nel 2011 dal Canoa Club Ferrara che l’ha reso sede estiva delle sue attività. Un’area di recupero ambientale e paesaggistico sviluppata in dieci ettari di lago, una ciclabile che permette il giro tutto intorno, un ampio spazio verde con svariati percorsi naturalistici, un punto di ristoro e tante canoe con cui pagaiare nelle acque limpide del lago.
Il Canoa Club Ferrara, costituitosi in Associazione Sportiva Dilettantistica nel 1977 grazie all’idea di un gruppo di canoisti appassionati di turismo e discese in torrente, istituì nel 1985 il primo corso di canoa, allora chiamato Handykayk (oggi paracanoa), fino ad essere riconosciuto dalla Federazione Italiana Canoa Kayak come centro di riferimento nazionale per l’avviamento alla canoa sia per soggetti normodotati sia per quelli aventi qualsiasi tipo di disabilità fisica, sensoriale e intellettivo-relazionale.
«È un bel posto qua, se ha tempo le faccio fare il giro intorno al lago mentre porto a passeggio Sansone, il mio cane». Chi parla è Mauro Borghi, Vice Presidente del Canoa Club Ferrara, Presidente e Direttore del Centro C.A.S.P. (Centro di Avviamento allo Sport Paralimpico). Accetto l’invito e lo seguo per un giro turistico. Mi racconta di quando tutto è iniziato. «Fausto (Fausto Bertoncelli, ex consigliere comunale di Ferrara ed ex responsabile dell’Ufficio Benessere Ambientale, ndr) era un mio atleta. All’età di 17 anni ebbe un brutto incidente che gli procurò una lesione midollare e lo costrinse alla carrozzina. Perse l’uso delle gambe ma si rese conto che poteva continuare a fare il canoista. La sua muscolatura restò intatta nel tronco e nelle braccia, così, dopo un brutto periodo di continui day hospital, riprese energicamente la sua attività e, dopo 2 anni, si formò una squadra di 8 persone paraplegiche, alla quale si aggiunsero persone con spina bifida e poliomielitici. Insomma, arrivammo a 16 elementi fortissimi, talmente forti che, attualmente, a livello paralimpico, siamo la squadra più forte non d’Italia, ma d’Europa». Gli brillano gli occhi. «Da allora, non ci siamo più fermati. Non siamo mai stati capaci di dire di no. Trent’anni fa c’eravamo solo noi, quindi tutte le persone con disabilità che volevano fare sport si rivolgevano a noi. Siamo riusciti con successo ad aprire una nuova strada che ha permesso la nascita della disciplina della paracanoa. Abbiamo creato una vera e propria equipe tecnica, medica, d’assistenza fisioterapista, fisiatra, psicologica e via dicendo». Mi spiega come l’integrazione tra atleti normodotati e atleti disabili sia il punto di forza del Canoa Club. I gruppi di allenamento spesso sono misti proprio per abbattere le barriere sociali che i ragazzi disabili costantemente vivono nella loro quotidianità.

Oltre alla canoa, vengono promosse anche altre discipline paralimpiche (Nuoto, Vela, Judo, Boccia, Canottaggio, Pallamano, Atletica, Baskin, Jiu jitsu, Parapowerlifting, Calcio a 5, Arrampicata), coordinando le attività di associazioni sportive, tutte prive di barriere architettoniche e con tecnici qualificati.
Le attività multidisciplinari sono rivolte a tutte le fasce di età, sia nell’ambito turistico che in quello agonistico. Molti dei loro atleti hanno raggiunto successi a livello nazionale e internazionale, arrivando a vincere campionati mondiali, come è successo a Marta Bertoncelli, nipote di Fausto, canoista italiana specializzata nello slalom, che ha partecipato anche ai Giochi olimpici di Tokyo 2020.
Un’altra esperienza straordinaria creata dal Club è quella della Dragon Boat, uno speciale tipo di canoa multipla che può accogliere dai 10 posti (il Draghino) ai 20 posti (il Dragone). Si pagaia tutti insieme a ritmo di tamburo. Il gruppo delle Dragon Lady nasce con lo scopo di supportare psicologicamente e fisicamente, attraverso l’attività sportiva, le donne operate di tumore al seno. Quest’idea prende spunto dalle Pink Dragon Lady di Vancouver del 1996, grazie all’equipe del dott. McKenzie che, contrariamente all’idea comune, sosteneva che le donne operate al seno potessero trovare beneficio nel praticare un’attività sportiva. Ad oggi sono oltre centocinquanta gli equipaggi in tutto il mondo.

«Il Club e questi luoghi, per noi, sono tutto: sport, famiglia, passione, integrazione, supporto, condivisione». Sette anni fa, quando in Emilia c’è stato il terremoto, su richiesta del Comune di Vigarano, vennero costruite otto casette di legno per ospitare le famiglie con i bambini traumatizzati dal sisma. Fu lo sponsor dell’epoca a occuparsene. Venne individuato uno spazio per la loro collocazione, accanto al lago, e fu trasformato in area faunistica nella quale tuttora vivono libere galline, oche e anatre. Le casette sono ancora arredate, composte da camere letto con il minimo indispensabile. Generalmente ospitano le squadre della nazionale, gli scout e le associazioni di volontariato. Ora ospitano Felice che sta completando un lavoro lungo due mesi: una scultura in marmo rappresentante un bellissimo busto di Ulisse con gli occhi chiusi, che tiene una pagaia da una parte e, dall’altra, una ruota di carrozzina al posto dello scudo. Ulisse, forse il più moderno simbolo dell’umanità, il personaggio omerico più citato dagli scrittori di tutti i tempi e il più “umano” degli eroi greci, viene scelto come esempio di forza, consapevolezza e determinazione. Quest’opera è dedicata alla memoria di coloro che hanno partecipato, trent’anni fa, alla nascita della paracanoa.
Chiedo di poter scattare all’artista qualche foto insieme alla sua statua, ma Felice desidera che prima io la tocchi. Accompagna la mia mano sopra l’avambraccio ed entusiasta mi dice: «Senti come si sente la vena!». Ma io avverto distintamente anche il muscolo, le ossa, le unghie, ogni singola falange. Mi spingo sul petto ed ecco percepire senza indugi il torace, le clavicole… è come toccare un corpo umano! Sono estasiata, vorrei potergli dimostrare la mia emozione, ma riesco solo a chiedergli: «Felice, ma se tu potessi chiedere qualcosa a qualcuno che può avverarla, cosa chiederesti?». «Di continuare la mia vita così!», e ride, senza fermarsi più.