Intervista a Giulio D’Angelo, presidente “rivoluzionario” di Adriacoop

Una cooperativa romagnola che vuole dare valore alle persone svantaggiate. Questa la missione di Adriacoop e di Giulio D’Angelo, 51 anni, presidente dal 2007. I servizi sono erogati con il 90% di personale svantaggiato e il fatturato è di circa 3 milioni di euro (dati Bilancio sociale 2021), senza alcun finanziamento pubblico o donazione.
“Con le nostre forze e le nostre possibilità vogliamo creare percorsi di lavoro per le persone, che abbiano un valore per la loro vita, per la loro stabilità. Adriacoop, insieme ad altre due cooperative romagnole, ha prestato servizi di misurazione della temperatura fuori dai presidi sanitari e centri vaccinali nel 2020 ed è stato un importante servizio in termini economici e di impegno del personale, circa 80 operatori sparsi in tutta la Romagna. Questo ci ha permesso di ricollocare persone che erano in cassa integrazione per la pandemia, dato che la maggior parte lavorava in mense, sporzionamento pasti ed altre attività sospese. Questa attività ha permesso alla cooperativa di essere maggiormente conosciuta su tutto il territorio regionale e grazie alla professionalità mostrata, sono seguiti ulteriori lavori”.
D’Angelo è Presidente dalla fondazione della cooperativa e da 15 anni si scontra con problemi burocratici che non permettono di dare lavoro agli svantaggiati che richiedono un posto di lavoro. “Siamo “conciliatori sociali” e purtroppo non sempre ci riesce. Chi non ha certificazioni di svantaggiato non riusciamo a collocarlo, mentre altri non la vogliono avere perché vedono più problemi che opportunità nella propria vita privata. Non abbiamo l’aiuto delle istituzioni, anzi.
Da quando le competenze sono passate dalle Province all’Agenzia regionale abbiamo perso
l’orientamento: le difficoltà che troviamo per far lavorare le persone è grande, non abbiamo davanti a noi un partner, bensì un muro che difficilmente riusciamo ad abbattere. Ingessati e burocratizzati da un sistema che non è uguale in tutta Italia: un disabile a Milano è un disabile anche in Emilia-Romagna? Incredibilmente no, perché da noi per poterlo assumere deve avere una disabilità psichica e/o intellettiva ai sensi degli artt. 9, comma 4 e 13, comma 1, lett. a), della Legge n. 68/1999 e un disabile fisico con il riconoscimento dello stato di gravità certificata ex legge n. 104/1992, cioè un grado elevatissimo per poter inserire questa persona nel mondo del lavoro.
Ecco gli incollocabili. Non riusciamo a farli lavorare a causa di questo paradosso.

La convenzione quadro d’inserimento lavorativo in cooperative sociali è stata leggermente cambiata modificando i parametri dopo le numerose difficoltà e segnalazioni ricevute. Ed ecco che l’inserimento è possibile se il disabile ha altri “problemi” e più precisamente se ha un’altra elevata disabilità ed è in condizione di fragilità e vulnerabilità che rendano particolarmente difficile l’integrazione e la permanenza al lavoro attraverso le vie ordinarie, accertate attraverso il processo e l’indice di profilazione previsti dalla L.R. n.14/2015. Ancora poco, troppo poco e troppo difficile da mettere in pratica. Far lavorare delle persone svantaggiate, oggi, in un mondo e realtà post pandemico, è difficilissimo”.
Adriacoop ha provato anche a operare in una regione come la Lombardia, confinante, ricca di aziende a cui poter offrire servizi di qualità, ma anche lì il paradosso burocratico ha fermato tutto: “la cooperativa è radicata nel territorio emiliano-romagnolo ed è iscritta all’Albo Regionale dell’Emilia-Romagna delle cooperative sociali: nel 2017 abbiamo provato a lavorare in provincia di Milano, ma la Città Metropolitana però richiedeva di essere iscritti All’Albo Regionale al Catalogo della Lombardia, quindi un Albo apposito regionale, e quindi, per motivi imprescindibili, non potemmo procedere. Per questo motivo abbiamo promosso la fondazione di Equalis, una cooperativa in Lombardia con oltre 100 dipendenti di cui l’85% svantaggiato, che è in costante crescita e ottiene numeri importanti”.
Adriacoop aderisce al Consorzio sociale Romagnolo ed al Consorzio Prime Solution, quest’ultimo classificatosi 276º società leader della crescita da Il Sole 24Ore l’anno scorso:
collaborazione e cooperazione sociale stanno alla base della cooperativa.
“Far lavorare le persone con handicap rientra nella nostra mission, nel nostro modo di essere e di intendere il valore del lavoro e della persona in quanto tale… ma abbiamo un grosso problema: non possiamo sapere l’handicap della persona. Se assumiamo una persona con il 90% di disabilità, riusciamo solo a sapere se è una psico o fisico. Non conosciamo alcuna diagnosi funzionale se la persona non ce la dice, quindi siamo nella grande difficoltà di collocare persone svantaggiate in servizi che riteniamo, a seguito di controlli medici, possano svolgere senza problemi.
Per questo motivo, finché non abbiamo una visione completa della persona e del suo stato clinico, non la facciamo diventare socia. Negli inserimenti lavorativi troviamo casi di ex tossicodipendenti o alcolisti e purtroppo, però, non sono quasi mai ex: abbiamo constatato che chi ha passato un percorso di alcolismo ha maggiori possibilità di ricaderci rispetto a percorsi di tossicodipendenza”.

“Le persone che non lavorano sono un costo sociale e questo non deve e non può essere”

Qual è quindi il futuro degli incollocabili? “Dobbiamo restituire degli uffici territoriali che abbiano le competenze e il potere decisionale, non può essere tutto demandato ad un ente regionale i cui uffici non hanno competenze e possibilità di agire davvero. Non possiamo avere una norma generale, la Legge n°68 del 1999, che viene recepita e regolamentata diversamente da regione a regione: un disabile deve avere gli stessi diritti e possibilità di lavoro a Palermo così come a Milano. Se c’è possibilità di collocare persone, come ad esempio con la nostra realtà in Lombardia, va regolamentato il settore in modo equo. Non riesco a capacitarmi di come qui in Emilia-Romagna mi risultino 459 convenzioni “convenzionabili”, cioè 459 posti di lavoro, e non ci sono le persone svantaggiate da collocare perché non raggiungono quel parametro di disabilità prestabilito dall’agenzia regionale.
Le persone che non lavorano sono un costo sociale e questo non deve e può essere: le persone devono poter lavorare. Dobbiamo dare sostegno agli incollocabili, permettergli di lavorare in cooperative o aziende: se queste persone diventano un peso e non un impegno sociale, una missione, facciamo il loro male.
C’è tanto da fare e abbiamo bisogno che ce ne venga data la possibilità. Il nostro fare è sempre più burocratizzato: serve che al tavolo si siedano le cooperative forse e non solo le associazioni che le rappresentano.
Il passaggio alla nuova Convenzione Quadro per programmi di inserimento lavorativo in cooperative sociali ai sensi dell’art. 22 della L.R. n. 17/2005 è sembrato inutile, insufficiente ed inadatto perché decontestualizzato dal mondo reale del lavoro e i suoi territori. Questa politica ed il suo retaggio normativo sull’assunzione di disabili non ci permette di avere una convenzione da circa due anni. Adriacoop vuole essere un punto di riferimento nel territorio: il lavoro che facciamo viene riconosciuto dai nostri soci e lavoratori, svantaggiati e no. E vogliamo sia sempre così”.

Adriacoop

Adriacoop è una cooperativa sociale ad oggetto misto (tipo A e tipo B) di Rimini, fondata nel 2007, che si occupa di servizi di pulizia, assistenza anziani, facchinaggio e servizi di outsourcing. Una cooperativa nata dall’iniziativa e desiderio di persone e cooperatori che collaboravano ormai da anni in Prime Cleaning, una società cooperativa riminese specializzata nell’erogazione di servizi integrati sul territorio nazionale, e che si è posta come obiettivo quello di valorizzare le persone svantaggiate, soggetti in grado di esprimere il proprio potenziale lavorativo e personale se collocati nel luogo migliore e adatto a far esprimere le proprie abilità. Adriacoop, attraverso attività e sinergie con il territorio, tende a raggiungere gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile promossi dalle Nazioni Unite, i cosiddetti GOAL 2030, e la propria base sociale di 49 soci cooperatori (dati Bilancio sociale 2021) e lavoratori si impegna quotidianamente nella gestione dei servizi sociosanitari ed educativi a favore di soggetti svantaggiati e persone in difficoltà.