La Presidente Licia Boccaletti spiega il progetto MeWe

Licia Boccaletti è la Presidente della cooperativa sociale Ans, Anziani e non solo, di Carpi che da anni realizza interventi e progetti a supporto dei ragazzi che hanno responsabilità di cura familiare. A questa cooperativa, in quanto partner del progetto, è stata affidata l’organizzazione dei laboratori del progetto MeWe.

Quando e come si sviluppa l’idea del progetto?

Il progetto MeWe nasce su iniziativa di un consorzio europeo composto da enti di ricerca/università e organizzazioni che si occupano di caregiver familiari, tutti afferenti alla rete europea Eurocarers. I bisogni a cui si è tentato di dare risposta erano diversi: da un lato approfondire la conoscenza del fenomeno dei giovani caregiver in Europa, visto che non vi era mai stato in precedenza uno studio europeo su larga scala. Dall’altro capire cosa funziona in termini di politiche e di pratiche per il riconoscimento e il sostegno dei giovani caregiver, anche al fine di trasferire esperienze rivelatesi efficaci in altri contesti nazionali. Inoltre, volevamo sperimentare un intervento a sostegno della salute mentale dei giovani caregiver che potesse essere basato su evidenze, quindi valutato in modo rigoroso. Infine, volevamo promuovere azioni volte a sensibilizzare professionisti, giovani e cittadini ai bisogni dei giovani caregiver. Il progetto MeWe, che è stato finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020, ha lavorato sul perseguimento di tutti questi obiettivi.

Vi eravate occupati precedentemente dei giovani caregiver?

Sì. La nostra organizzazione ha iniziato ad occuparsi di caregiver familiari adulti intorno al 2009. Quasi subito abbiamo cominciato ad interrogarci sull’impatto della cura verso i membri più giovani della famiglia: i nipoti, i figli, i fratelli delle persone bisognose di assistenza e abbiamo cercato di capire come il tema venisse affrontato in Paesi in cui l’attenzione a queste tematiche è più consolidata rispetto all’Italia.

Quali disponibilità e quali resistenze avete incontrato?

Nella maggioranza dei casi le organizzazioni che sono state contattate hanno espresso interesse per la tematica e volontà di collaborare, ma vi sono ancora diversi ostacoli. Dal punto di vista delle organizzazioni, il fatto di non avere un mandato diretto a lavorare su questo tema fa sì che il tempo dedicato all’attività di individuazione, segnalazione e reclutamento dei ragazzi sia dipeso dalla possibilità e disponibilità del singolo operatore ad occuparsene. I giovani caregiver non sono attualmente censiti da alcun servizio, quindi la loro identificazione dipende unicamente dalla conoscenza che il professionista ha dei nuclei familiari che incontra nel suo lavoro. In secondo luogo, abbiamo incontrato resistenze da parte dei ragazzi stessi: come detto, molti non si auto-identificano come giovani caregiver e altri sono restii a partecipare a percorsi in cui viene chiesto loro di lavorare sui propri vissuti, le proprie emozioni e il contatto con una componente spesso dolorosa e faticosa della propria vita.

Quali politiche di sostegno sono ipotizzabili?

Oltre ad un investimento ulteriore in attività di sensibilizzazione e formazione dei professionisti, riterremmo fondamentale che si implementassero dei sistemi strutturati di identificazione di possibili giovani caregiver e di valutazione dei loro bisogni ogni volta che un nucleo familiare in cui vi è una persona fragile o non autosufficiente viene preso in carico da un servizio sociale o sanitario. Questo consentirebbe di intervenire precocemente nell’offerta di servizi di supporto. In secondo luogo, sarebbe auspicabile che servizi di supporto ai giovani caregiver fossero resi disponibili in modo diffuso sul territorio nazionale e che questi ragazzi potessero avvalersi di percorsi di sostegno in ambito scolastico e universitario per poter conciliare i propri impegni di cura con il completamento del proprio percorso formativo.
(C.R.)

Una vita professionale dedicata ai caregiver familiari e ai progetti internazionali

Licia Boccaletti

È Presidente della cooperativa sociale Anziani e non solo, dove coordina anche il settore dei progetti internazionali. Laureata in scienze dell’educazione, dal 2009 ha iniziato ad occuparsi di caregiver familiari adulti e poi, dal 2012, di caregiver adolescenti, progettando e realizzando in collaborazione con altri professionisti interventi di supporto psico-sociale e psico-educativo e partecipando a progetti di ricerca su queste tematiche. Dal 2010 al 2015 è stata membro del comitato esecutivo di Eurocarers, il network europeo delle organizzazioni che operano a favore di carer familiari. Dal 2018 al 2021 ha coordinato per conto di Anziani e non solo il progetto europeo Me-We, finanziato dal programma Horizon 2020: il primo progetto di ricerca trans-europeo sui giovani caregiver.

Cos’è il progetto ME-WE

ME-WE, acronimo in inglese del titolo del progetto, ovvero “Supporto psicosociale per la promozione della salute mentale e del benessere dei caregiver adolescenti in Europa”. Il progetto è stato finanziato da programma di ricerca e innovazione dell’Unione Europea Horizon 2020. La finalità è quella di ridurre i fattori di rischio dovuti al fatto di essere un caregiver adolescente (15/17anni), aumentandone la capacità di resilienza (il processo di negoziazione, gestione e adattamento a significative fonti di stress o trauma) e rafforzando il sostegno sociale (da parte della famiglia, della scuola, dei coetanei, dei servizi).

Chi ha partecipato

La maggior parte dei partecipanti alla sperimentazione italiana del progetto Me-We è di sesso femminile (72,4%) e vive in un paese o in una piccola città mentre circa il 28% in una grande città. L’89,7% è nato in Italia. Quasi tutti i partecipanti vivono con la madre (95,7%) e circa tre quarti anche con il padre (71,7%). Il 40% dei partecipanti ha fratelli con i quali convive e gli adolescenti provenienti da famiglie allargate (che vivono con i nonni) fanno tutti parte del gruppo sperimentale. La maggior parte dei partecipanti (86,4%) si occupa, aiuta o sostiene un membro della famiglia con problemi di salute. La maggior parte dei partecipanti (84,2%) si prende cura di un membro della famiglia, di solito entrambi o uno dei genitori (più comunemente la madre) o i fratelli, e vive con la persona di cui si prende cura. Alcuni hanno riferito di prendersi cura dei nonni (21,9%) o di zie/zii (15,7%), ma nella maggior parte dei casi non vivono con queste persone.