Il mio incontro con Mimmo Lucano

Sono pronto. Mentre attraverso l’arco del Villaggio globale ho in testa anche qualche parola di amicizia e di conforto. Durante il viaggio mi è venuta in mente e, son sicuro, saprò dimostrargli vicinanza. Si fa così fra sindaci, anzi fra ex sindaci, e anche fra amici. È la prima volta che lo rivedo dopo quanto di vergognoso è successo. Eccolo che arriva, in realtà capisco subito che potevo anche risparmiarmi tanti giri di mente. In un secondo brucia tutti i preliminari con un abbraccio fraterno, caloroso, tranquillo. “Ti vedo meglio dell’ultima volta, alla fine questa sentenza ti ha fatto bene” gli dico lanciandogli un’affettuosa pacca sulla spalla. Lui ride, e anch’io, perché alla fine, con l’ironia, me la cavo sempre meglio. C’è molto vento a Riace stasera. Mentre lui parla è come se riprendessero vita pezzi e immagini del borgo che adesso non ci sono più. Riavvolgo dentro di me la storia, ricordando che tutto cominciò proprio da quel barcone pieno di curdi che, scappando da guerre e persecuzioni, si arenò, all’alba, a Riace Marina. Era il 1 luglio 1998. È stato il vento, racconta sempre Mimmo. Probabilmente lo stesso che stasera ci sentiamo soffiare forte addosso sulle nostre spalle. Mimmo era Sindaco di un luogo da cui gli abitanti se ne erano andati in cerca di lavoro al nord e dove lo spopolamento aveva lasciato il posto solo ai poteri della ’ndrangheta, della criminalità organizzata, della speculazione edilizia. L’unica tipicità architettonica rimasta era quella di un paese di case vuote, spesso abusive e magari nemmeno finite di costruire, come racconta bene anche Peppe Voltarelli, non con la chitarra, ma nel suo libro “Non finito calabrese”. Coperte, qualcosa da mangiare e qualche sistemazione improvvisata. Iniziò così, quella che probabilmente resta l’esperienza più avanzata di ospitalità e integrazione. Un progetto di accoglienza che vide nei rifugiati non un problema, ma una grandissima opportunità per ripopolare quel luogo. Mimmo è un visionario, per Riace pensa ad un progetto politico ben chiaro, nella convinzione che essere di sinistra significhi prima di tutto occuparsi dei più deboli.

“Non voglio fare il Sindaco per cambiare le lampadine dell’illuminazione pubblica e neppure per coprire le buche delle strade, voglio contribuire a cambiare l’umanità”.

In tanti raccontano che di averlo sentito dire spesso “Non voglio fare il Sindaco per cambiare le lampadine dell’illuminazione pubblica e neppure per coprire le buche delle strade, voglio contribuire a cambiare l’umanità”. Lucano non sceglie i grandi centri di accoglienza gestiti da privati per conto di prefetture e Viminale ma gli Sprar, piccole strutture senza dubbio più umane. Laboratori artigianali, botteghe, biblioteche, scuole, asilo multietnico, fattoria didattica, orti, frantoio. Lavoro nelle piccole cooperative locali. Riace rinasce così offrendo una possibilità sia ai migranti che ai locali, un’idea virtuosa a cui guardano con attenzione personalità, esperti, artisti, che scendono a visitare il borgo multiculturale. Win Wender, il regista tedesco de “Il cielo sopra Berlino” gira il suo cortometraggio, “Il volo”, dedicato proprio a questa storia di accoglienza. La vera utopia non è la caduta del Muro – sosteneva Wenders – ma quanto sta accadendo in Calabria, a Badolato, a Riace in testa: lì ho visto davvero un mondo migliore. Nel 2016 la rivista Fortune inserisce Lucano persino nella classifica delle 50 persone più influenti al mondo, assieme a Papa Francesco.
A Riace la gestione solidale significava anche rompere con il sistema di tangenti e privilegi. L’accoglienza, infatti, era anche lotta alla mafia. Voleva dire acqua pubblica, rispetto dell’ambiente e raccolta differenziata dei rifiuti, recupero dei terrazzamenti di olivi, agrumeti, alveari. “Spiaggia libera per chi entra e chi arriva” aveva fatto scrivere sul cartello della spiaggia di Riace Marina.
Mannaggia a te Lucano, non ti accontenti, tu vuoi la svolta sociale, il riscatto di una terra, il protagonismo dei rifugiati e dei cittadini. Vuoi quello che è incompatibile con le regole e con le leggi esistenti. Cominci a mettere in discussione i meccanismi, a dimostrare che con le 35 euro per ogni rifugiato si possono fare molti più interventi, che il tuo sistema costa persino meno. Il sogno di Lucano, del resto, sarebbe stato uscire prima possibile anche dallo Sprar e permettere ad una comunità di vivere delle proprie attività. Forse però non era stato messo in conto il pericolo di rendere questa esperienza persino contagiosa. Per chi aveva conquistato roccaforti di potere fondate sulla paura del diverso anche una piccola Riace poteva costituire una minaccia. E alla fine, quel Sindaco che in effetti si è perso nella disperazione dei migranti, nei loro incubi per i documenti, nei loro timori di sopravvivenza e di cura delle loro piccole creature, più di quanto, probabilmente, avrebbe dovuto fare per il rispetto delle regole, viene condannato come fosse il peggior mafioso. Tredici anni e due mesi che valgono anche la chiusura di laboratori, botteghe, scuole, biblioteche, l’allontanamento dei rifugiati caricati su pullman verso improbabili destinazioni, l’interruzione dell’originale raccolta differenziata dei rifiuti con gli asini ed i carretti costruiti dai Rom. Valgono il ritorno di Riace alla desertificazione sociale.
Si è fatto quasi buio. Lucano, non ha ancora finito di elencare i reati di cui lo accusano nella condanna.
Siamo arrivati in tanti per portargli un grande abbraccio, ma continuo a guardarmi intorno perché so bene che adesso chi gli mancherà davvero al fianco è ‘O professore, il giornalista che da anni si è occupato con coraggio e umanità della vicenda di Riace. Il compagno, l’amico. Enrico Fierro. Ma lui, ha lasciato tutto scritto, sui quotidiani nazionali, cosa dovremo fare da domani, per stare vicino al visionario libertario di Riace.