La musica può aiutarci a dimenticarci di noi e al tempo stesso a comprenderci

L’Italia è il Paese delle orchestre multietniche, primo in Europa con circa venti band all’attivo. Tra queste l’OMA (Orchestra Multietnica di Arezzo) ha un posto particolare, sia per la sua forza espressiva sia per il percorso fatto fino ad oggi. Luca “Roccia” Baldini è il fondatore e il Presidente dell’Oma.

Quando e perché nasce il progetto dell’Orchestra?

Il percorso dell’OMA nasce nel 2007, inizialmente come un progetto formativo, un laboratorio aperto a musicisti italiani e stranieri dedicato alla conoscenza e all’approfondimento delle strutture di base delle musiche tradizionali delle aree del Mediterraneo, per incrociarle con la tradizione italiana ed europea. Fin da subito però ci eravamo posti l’obiettivo che il laboratorio, che passava attraverso la realizzazione di una serie di seminari intensivi coordinati da Entico Fink e Jamal Ouassini, oltre a produrre un repertorio per il concerto finale, costituisse la base per la creazione di un’Orchestra stabile che potesse dare l’opportunità, ai musicisti stranieri e a giovani immigrati di seconda generazione presenti sul nostro territorio, di mantenere e sviluppare il rapporto con la propria cultura d’origine, partendo proprio dalla musica. Per questo all’inizio c’è stato anche un sostegno importante da parte del Comune di Arezzo, in quegli anni sicuramente più sensibile a queste tematiche, con un intervento degli assessorati a cultura, sociale e integrazione.

Non è mai facile tenere insieme un’orchestra, specie se i componenti provengono da molti Paesi diversi. Qual è la formula che vi ha permesso di diventare un soggetto vero, credibile e stabile?

L’OMA ha assunto subito alcune caratteristiche di originalità che, probabilmente ne hanno consentito una così lunga vita e crescita dal punto di vista artistico. La prima sta nell’originalità del sound e del repertorio, costituito da brani caratteristici dei paesi d’origine dei musicisti e arrangiati da Enrico Fink in modo da creare una sonorità nuova, data della contaminazione tra i diversi stili e suoni di strumenti etnici e non. La seconda, e forse più importante, è quella di aver attivato negli anni collaborazioni con molti artisti di calibro nazionale e internazionale. Da Cisco Bellotti a Moni Ovadia, da Benvegnù alla Bandabardò, da Dario Brunori a Margherita Vicario, ma anche al di fuori dell’ambito musicale, con la creazione di spettacoli di teatro musicale assieme a Stefano Massini, Ottavia Piccolo, Amanda Sandrelli, Isabella Ragonese.

Molte collaborazioni, dischi, concerti, senza voler fare una classifica ci sono momenti e persone che hanno veramente cambiato la strada dell’OMA?

Ce ne sono tantissime e ne citerò solo alcune. Sicuramente l’incontro con Stefano Massini che ha capito la potenzialità culturale e musicale del progetto, coinvolgendoci nelle sue creazioni teatrali e storie televisive. “Credoconunsolodio” con Amanda Sandrelli, “African Requiem” con Isabella Ragonese, “Occident Express” con Ottavia Piccolo, fino a “Cosa nostra spiegata ai bambini” con Ottavia Piccolo che ha appena debuttato.
“Culture contro la paura” in Sicilia con Dario Brunori, Simona Marrazzo, Amanda Sandrelli e Paolo Benvegnù. Valle dei Templi, Ballarò, Teatro di Verdura e Museo Salinas di Palermo. Bellissimo tour pieno di emozioni e sorprese. Ricordi indelebili. “Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli” con Margherita Vicario, spettacolo che ci ha permesso di risorgere dopo la brutta bestia di questa pandemia e di girare tutta l’Italia con un successo incredibile.

Da Luca Baldini e Massimo Ferri, musicista di Oma e Presidente delle Officine della cultura

OMA è senza dubbio un progetto musicale complesso e ambizioso ma anche sociale e d’integrazione. Eravate consapevoli del valore politico del progetto e del suo impatto sulla società quando siete partiti?

Molto spesso si agisce istintivamente e con un pizzico di incoscienza. Ovviamente non pensavamo assolutamente cosa potesse diventare il progetto. Certo sentivamo che poteva essere un’idea forte soprattutto dal punto di vista sociale e culturale. Oggi siamo coscienti che è veramente un progetto politico, che stiamo facendo politica e questa è la cosa che ci spinge ad andare avanti, a progettare a costruire.

Con l’OMA avete suonato praticamente in tutta Italia, qual è la tua impressione sul nostro paese sotto il profilo dell’integrazione e del rispetto dei diritti?

Ancora la strada è molto lunga. Ovviamente chi viene a vederci è un pubblico già sensibile a questi temi. Ai concerti sembra di essere immersi in una bolla di felicità, ma usciti dalla bolla ancora c’è chi pensa di essere l’unico abitante della terra.

Dall’Albania: Mariel Tahiraj, violinista, giramondo low cost

Come sei venuto in contatto con OMA?
Mi trovavo in piazza S. Agostino ad Arezzo, in un iniziativa multiculturale. Io ero stato chiamato per fare una piccola esibizione come violinista rappresentante la comunità abanese. Dopo la mia esibizione, per niente albanese, dato che suonavo un brano di Johann Sebastian Bach, mi avvicino alle scalette del piccolo palchetto che ci avevano messo a disposizione e ancora prima di essere sceso completamente, mi si para davanti un signore che mi fa questa strana domanda: ti andrebbe di suonare nell’orchestra multietnica?

Suonare in questa orchestra come ti fa sentire?
Mi fa sentire un “giramondo low cost”. Cercando di trovare un analogia calzante, l’esperienza OMA è molto simile alla VR (realtà virtuale) mi metto a sedere, chiudo gli occhi e mi sposto al suono della musica, ora in Albania, poi in Romania, Libano, Israele, Palestina, Giappone, Bangladesh, Italia, Colombia, Argentina e cosi fino alla fine del concerto, basta stare lì fermo in una sedia a suonare.

Dal Libano: Emad Shuman, voce afrotoscolibanese

Prima conoscenza di OMA?
Nell’aprile 2006 ho partecipato col mio gruppo Bidaaya (inizio in arabo) alla serata al Teatro dei Rozzi di Siena, all’interno del progetto Salaam Pace Shalom. Un progetto di cooperazione internazionale promosso dal Comune di Siena insieme a diverse municipalità palestinesi e israeliane, con l’obiettivo di promuovere il dialogo e il confronto fra le due parti in conflitto. Oltre a cantare in quella serata, svolgevo il ruolo di mediatore culturale e linguistico ai giovani studenti mediorientali ospiti a Siena. In quella serata ho conosciuto Enrico Fink che dirigeva la Homeless Orchestra e abbiamo collaborato poi nelle scuole medie di Siena all’interno dello stesso progetto. Dopodiché è nata l’orchestra multietnica di Arezzo l’anno seguente e naturalmente sono entrato a farne parte da subito, essendo aretino di adozione perché ho vissuto 15 anni in questa città al mio arrivo in Italia

Come ti senti in questa orchestra?
Mi sento un cittadino del mondo sul palco, come nella vita reale. Sono nato in Sierra Leone dove ho vissuto i miei primi 20 anni, i miei genitori sono libanesi e vivo in Italia da oltre 30 anni. Insomma mi sento un afrotoscolibanese. Sul palco, mi sento pure un mediatore, un ambasciatore del mio paese d’origine, quel Libano così bello e disgraziato e che recentemente sta passando un periodo molto critico. Ma il mio amato paese dei cedri, come l’araba fenice, riuscirà anche questa volta a rinascere dalle proprie ceneri.