Una piccola cooperativa con grandi obiettivi nel settore dei rifiuti tessili

Una cooperativa fiorentina che si occupa esclusivamente di raccolta abiti usati.
“Più di 20 anni fa la Caritas di Firenze l’ha resa un’attività imprenditoriale dedicata all’inserimento di lavoratori svantaggiati. Ed ecco che nel 2001 nasce la cooperativa San Martino: rilevò un’attività che la Caritas aveva affidato temporaneamente ad una cooperativa per poi passarlo a noi”. Il presidente Francesco Grazi ricorda gli inizi e le difficoltà del tempo e le grandi differenze che ci sono rispetto ad oggi: “A quei tempi non c’erano gare e affidamenti come adesso, ci venne affidato il servizio da Quadrifoglio, oggi Alia: i Comuni delle zone interessate facevano un protocollo d’intesa e affidavano direttamente il servizio a San Martino che aveva ed ha due obiettivi essenzialmente: dare lavoro alle persone svantaggiate e utilizzare i margini e gli utili per finanziare delle attività”.

“Questi abiti non vengono dati in beneficienza,
o ai poveri: sono veri e propri rifiuti. Vengono portati in impianti di recupero smaltimento: in parte recuperati ed in parte smaltiti”


Inizialmente la cooperativa era molto piccola e lavorava solo su Firenze, poi si è ampliato il tutto: raggio d’azione, numero di lavoratori, progetti. “Questi abiti non vengono dati in beneficienza, non vengono dati ai poveri: sono veri e propri rifiuti. Vengono portati in impianti di recupero smaltimento: in parte recuperati ed in parte smaltiti. Questo è un misunderstanding in cui si cade spesso”.
Il passare degli anni ha cambiato modalità, fondi e approcci: “Negli anni Novanta c’erano molti margini e profitti, rispetto ad oggi: grazie a quelli siamo riusciti a finalizzare molti progetti, tra i quali quello, insieme a Caritas, della mensa di Via Baracca a Firenze che dà da mangiare a circa 500 persone bisognose al giorno. Negli ultimi anni abbiamo sempre cercato persone svantaggiate che potessero svolgere il nostro lavoro: l’area carcere è stata un’importante attività da dove abbiamo “attinto””.
La cooperativa San Martino ha sempre avuto, per molti anni, inserimenti quali tossicodipendenti, immigrati e poi carcerati. “Nel 2020 abbiamo partecipato alla gara e vinto sia a Firenze che in territori limitrofi.

Negli ultimi anni si è allentato un po’ il finanziamento ai progetti Caritas: abbiamo cercato di mettere in piedi progetti della cooperativa che potessero autosostenersi, come la lavanderia al carcere di Sollicciano e il laboratorio tessile nel carcere di Prato”.
Oggi la cooperativa conta circa 700 cassonetti su Firenze, Campi, Sesto, Calenzano, Mugello, Empoli, tutta la Val d’Elsa. Lavora in un ambito eticamente molto delicato e la gente è sempre più diffidente perché Prato ha progressivamente ridotto la sua attività di riciclo tessile a causa della sempre maggior presenza di fibre sintetiche, e l’attività di recupero e riciclo ha visto l’ingresso di nuove imprese, provenienti anche da altre zone d’Italia, alcune delle quali non hanno rispettato le normative previste dalla filiera del rifiuto tessile “Il sacchetto “originale” è quello che viene buttato dall’utente: la prima scelta anche definita “crema” è quella fatta dall’impianto per materiale di una qualità recuperabile, poi seconda scelta e così via. E poi le rivendono. Quello che smaltiscono diventa indifferenziato. Abbiamo combattuto contro i cassonetti abusivi e insieme al Comune di Firenze siamo riusciti a toglierli, eccetto uno… ricevemmo addirittura una lettera anonima con l’elenco di tutti i cassonetti abusivi e le chiavi di questi da una “persona malata di tumore con solo due mesi di vita”…una storia incredibile. Cassonetti mai svuotati dà segno di degrado e purtroppo molte volte è successo di ricevere telefonate e ripetere che quelli non erano i nostri”.
Ma quanto rappresenta il rifiuto tessile rispetto a carta, plastica, indifferenziato? “Su un milione di tonnellate di rifiuti urbani che fa Alia, il tessile post consumo è circa il 3%. Quindi un rifiuto marginale. Per noi è il core-business, rimaniamo piccoli ma lavoriamo bene e puntiamo a specializzare al massimo i nostri soci e dipendenti”.
Questo tipo di rifiuto sta cambiando rapidamente: leggi europee e poi il PNRR hanno stabilito che il rifiuto tessile dovrà essere riutilizzato o riciclato al 100%, non più smaltimento, a partire dal 2023. Oggi solo il 60% viene riutilizzato o riciclato. Si apre quindi un mercato diverso e professionalità in cui sarà complicato inserirsi.
“Alia ha presentato e progettato un HUB tessile che aprirà nel 2026 a Prato in cui confluiranno tutti i rifiuti tessili della Toscana: divisa tra riuso e riciclo. Il grande produttore dovrà pagare una tassa per il riciclo e quindi il mercato che si creerà sarà una possibilità per noi ma ovviamente ancora non è possibile fare previsioni”.

Cosa significa inserimento lavorativo e quale tipo. “Noi abbiamo due tipi di inserimenti – dice Daniela Cappetta, coordinatrice servizio: carcerati e persone con svantaggio prevalentemente psichiatrico. Siamo formati da 12 squadre per 12 mezzi: i mezzi sono geolocalizzati con GPS e viene sempre controllato il tempo che passiamo al cassonetto, per questo motivo l’autista è una persona normodotata ed ha un’attenzione maggiore. Veniamo pagati da Alia per ogni svuotamento, passiamo ogni giorno da quei cassonetti, e pianifichiamo due settimane prima il giro da fare”.
L’operatore, invece, è la persona svantaggiata: “Non ha alcuna responsabilità e riesce a fare quello che può. Ci sono coppie storiche che funzionano da anni. Come cooperativa aiutiamo a far crescere i nostri dipendenti aiutandoli a prendere le patenti, B e C, CQC, investiamo sul materiale umano che abbiamo. Tra gli svantaggiati abbiamo tre donne e tre uomini, ma gli autisti sono tutti uomini perché il lavoro è fisico e molto stancante”.
Dipendenti e soci con un’età media di quarant’anni e soprattutto quel senso di appartenenza ed unità che dovrebbe esserci in ogni cooperativa sociale. “Vediamo tutti i giorni i nostri dipendenti, che sono quasi tutti soci (alcuni lo diventeranno a breve), perché siamo una realtà piccola e questa è la nostra forza: condivisione, contatto diretto e sanno che possono affidarsi e fidarsi di noi. La comunicazione interna funziona perfettamente data la piccola dimensione della San Martino: siamo un gruppo stabile, prima c’era molto turnover, oggi sempre maggiore corresponsabilità delle persone”.

I progetti passati e quelli futuri

Nel 2013 San Martino, con Caritas, ha ideato un progetto di lavanderia nel carcere di Sollicciano. “Lavanderia con macchine comprate da noi e come inserimenti lavorativi i carcerati, prima tre detenuti poi un massimo di cinque, selezionati dal carcere, tutti uomini. Abbiamo acquistato la biancheria e le macchine e poi ampliato i clienti rivolgendosi a B&B. Sette anni di un servizio, cinque detenuti e un autista che guidava il furgone di consegna, sempre detenuto. Progetto con molti limiti, perché la lavanderia è già un ambito complesso e poi la gestione dei detenuti non dipendeva solamente da noi ovviamente. Quindi rischiavamo di non poter consegnare o avere dipendenti in lavanderia perché ci possono essere controlli interni, detenuti isolati e tutto ovviamente senza computer o telefono perché vietati all’interno del carcere”.
Sempre in carcere, ma finito per diversi motivi, il laboratorio tessile nel carcere di Prato: “Purtroppo non è andato bene perché con una multinazionale con cui lavoravamo non ci siamo più trovati economicamente e per divergenze. Pagavamo detenuti anche se non c’era nulla per cui lavorare, alla fine però non ce l’abbiamo più fatta”.
In conclusione, il futuro. “In futuro vogliamo investire sugli abiti usati e quindi, dopo aver affittato un impianto di stoccaggio, potremo ampliare il mercato e vendere fuori dalla Toscana. Lavoriamo al momento con la Caritas di Milano per questo progetto e puntiamo ad essere più autonomi nella vendita. Tra non molto inaugureremo la nuova sede, entro l’anno”.
San Martino vuole spingersi oltre i confini nazionali, attivare una partnership con le associazioni di volontariato che operano nelle carceri libanesi per aiutare a creare un’attività femminile post penitenziaria: regalargli vestiti già selezionati e poi loro venderli nel loro paese. Non un sogno, ma un obiettivo da raggiungere.