L’esperienza di agricoltura sociale di Koinè

La terra come strumento di cura. Luogo per ridare un senso alla vita, per trovare nel lavoro dell’orto o della cura degli animali il giusto riflesso di sé, per tornare ad avere ritmi lenti di vita. Questo e altro è l’agricoltura sociale. Questa è la Fattoria di Ramarella. Siamo in Toscana, nel comune di Pergine Laterina. Qui la cooperativa sociale Koinè ha definitivamente inserito l’agricoltura sociale tra le sue prassi. Una conferma concreta? La fattoria affittata nel 2016, è stata comprata nel 2022. Si aggiunge a Rsa, centri diurni, strutture per l’infanzia.
“A Ramarella sono presenti 22 persone di differenti età e con diversi livelli di fragilità sociale – ricorda Sauro Testi, responsabile Koinè della fattoria. Le attività sono svolte in collaborazione con la Asl Tse e il Comune. Abbiamo un orto di mezzo ettaro: le nostre persone si occupano di tutte le fasi del lavoro, dalla semina alla raccolta e poi della preparazione delle cassette per i gruppi di acquisto solidale. La cura degli animali è un’altra attività: sono state fatte le recinzioni per le caprette e gli animali da cortile. Siamo impegnati nel bosco con la creazione e la manutenzione sia di sentieri che di aree per la sosta a piedi. Infine ci occupiamo della manutenzione della casa al centro della fattoria. Recentemente abbiamo acquistato un trattore e altri strumenti per lavorare la terra. Per il futuro contiamo di ampliare l’orto, realizzare un piccolo maneggio e creare un bosco ludico per bambini e famiglie. E, cosa più importante, contiamo di poter ospitare altre 10 persone”.
Paolo Peruzzi è il presidente di Koinè: “La decisione di creare Ramarella deriva dall’obsolescenza dei tradizionali modelli di servizi per la salute mentale – ricorda il Presidente Paolo Peruzzi. Chiusi i manicomi, ci furono le case famiglia e gli appartamenti protetti, poi la nascita dei centri diurni classici con laboratori e attività. Con l’invecchiamento e la naturale scomparsa degli ospiti del manicomi, divenne evidente la necessità di creare servizi capaci di rispondere ai bisogni e alle necessità e anche alla volontà di autodeterminazione dei pazienti psichici”.
Koinè fece la prima mossa con lo sport creando la Polisportiva Gambassi. “Era evidente che la pratica sportiva fosse uno strumento d’integrazione e lo era, in modo particolare, una disciplina di squadra come il calcio. Erano gli anni Novanta e ricordo ancora una frase diffusa in Valdarno: ‘andiamo a vedere giocare i matti’. Non c’era cattiveria ma curiosità in quella frase. Poi vennero la pittura, la scultura, la cartapesta, la scrittura creativa, il teatro. Rispetto ai modelli post manicomiali, si punta a valorizzazione i talenti e le potenzialità delle persone e non ad offrire loro, semplicemente, un’attività per far passare il tempo. Attività che rispecchino le capacità delle persone e che siano in grado di generare auto gratificazione e non frustrazione”.
Il cambiamento di approccio è notevole. “Una persona si guarda nello specchio – afferma Peruzzi – e può vedere due immagini. Una è quella di una donna o di un uomo malato, l’altra è quella di una persone che fa sport oppure scrive oppure dipende e che assume medicine”.
L’agricoltura sociale rappresenta un ulteriore passo avanti dopo le attività sportive e culturali. “Piantare e raccogliere pomodori, per fare un esempio, offre un grande potenziale riabilitativo. Il tema non è mangiare cosa si produce: questo vale in altri contesti. Qui piantare e poi raccogliere pomodori vuol dire saper fare questo lavoro, assumere un’identità diversa da quella della persona malata. Raccogliere i pomodori vuol dire avere la conferma che si è capaci di fare un’attività e che non si è semplicemente un paziente che deve prendere solo pasticche a intervalli regolari”.

“Nel bosco di Ramarella si è persone libere che possono parlare tra loro, accudire gli animali, sentire il loro calore”

Koinè si è inserita in un percorso internazionale: l’agricoltura sociale ha ormai una rete europea con modalità di valutazione scientifica dei risultati.
“C’è il lavoro ma anche la suggestione e il sogno. Nella campagna, nel bosco di Ramarella si è persone libere che possono parlare tra loro, accudire gli animali, sentire il loro calore, avere un altro ritmo di vita rispetto a quello della città. La fattoria è un luogo dove si vive, si lavora, si mangia, si dorme. È un diverso modo di vivere. Vecchio quanto il mondo ma nuovo per la convulsa società di oggi”.
E Peruzzi ha anche una visione che è sulla soglia dell’utopia: “fare diventare Ramarella una fattoria totalmente autosufficiente che si rende tale con il lavoro agricolo e che genera le risorse per la cura delle sue persone”.