Disabilità. Dipendenze. Sofferenza psichica. Sono categorie di quella che possiamo chiamare fragilità in cui vivono le persone. Ma non solo. Ci sono le parole fragili che vanno curate e su cui serve una “cura” in un’epoca di grande crisi tra pandemia, guerre e crisi sociale.
Il 27 febbraio alla Sapienza di Roma, in evento accreditato dall’Ordine dei giornalisti del Lazio con oltre 100 giornalisti presenti e collegati via zoom, è stato presentato il Glossario Fragile di Legacoopsociali, il progetto nato da un’idea del Gruppo comunicazione dell’associazione nazionale a giugno 2020 (si può leggere e scaricare sul sito www.legacoopsociali.it).
Lungo il percorso questo lavoro ha incrociato i docenti e ricercatori di tre università e del Cnr: Andrea Volterrani (Roma Tor Vergata), Gaia Peruzzi (Sapienza), Elisabetta Gola (Università di Cagliari), Raffaele Lombardi (Sapienza) e Maria Cristina Antonucci (Cnr-Irpps). Dal loro contributo e supervisione scientifica è stato accolto anche con grande interesse dal Prorettore alle Tecnologie innovative per la comunicazione e Direttore Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale Alberto Marinelli che nel centro congressi della facoltà di Sociologia ha ospitato l’evento.
Negli ultimi anni sono stati tanti i contributi sulle parole per giornalisti, media e comunicazione pubblica. Con il Glossario Fragile Legacoopsociali “vuole fare la sua parte” come ha detto la presidente nazionale Eleonora Vanni e, soprattutto, offrire un metodo partecipato che, come ha sottolineato Volterrani, è la sfida innovativa di questo progetto.
La partecipazione parte dall’interno, dall’elaborazione con l’impegno del Gruppo di lavoro coordinato da Giancarlo Riviezzi, Giusy Palumbo e Fabio Della Pietra, e si propone all’esterno per cogliere ulteriori contributi aggiornando nelle pagine bianche lasciate alla fine e nelle quali il Glossario Fragile può vivere work in progress di una società in continua evoluzione.
Inoltre, l’incontro con i giornalisti e con le organizzazioni sociali svolto il 27 febbraio è anche una proposta per fare rete condividendo saperi come può avvenire con Giulia Giornaliste e la Carta di Olbia sulla disabilità o con le testate sociali che da anni operano sul campo per un’informazione che mette al centro le persone. Però anche nei media “generalisti” esistono esperienze importanti come quella di Domenico Iannaccone che ha raccontano il suo esperimento continuo dalla tv al teatro o il lavoro di inchiesta di Nello Trocchia che su Domani ci ha raccontato il dramma del carcere come i fatti di Santa Maria Capua Vetere. La pandemia ha determinato un prima e un dopo. Ad essa sono seguite nuove crisi, dalla guerra alla questione energetica, ampliando fasce di fragilità sociale in un Paese dove aumentano le sofferenze. Dopo quel marzo 2020 la cooperazione sociale si è trovata, come tanti settori, davanti a un bivio. Uno di questi era la comunicazione che attraverso gli strumenti digitali ha permesso di connettere persone e organizzazioni chiuse nelle zone rosse e nelle restrizioni.
In quel contesto era fondamentale ricostruire le connessioni nonostante la distanza. Le piattaforme digitali hanno azzerato le distanze mentre fuori la realtà cambiava rapidamente, fino ad arrivare ad oggi. Ricostruire voleva
dire anche studiare e formarsi misurandosi con nuovi strumenti, nuovi linguaggi e nuove narrazioni. Siamo partiti da un Manifesto della Comunicazione nel 2021 per lanciare un nuovo approccio teorico e culturale verso un’attività che chi opera nella cura, nei servizi di welfare, nell’accoglienza e nell’inclusione lavorativa non può più relegare a partner dimenticato o agitare solo nei momenti di difficoltà.
Da una nuova cultura condivisa della comunicazione, ad ogni livello, abbiamo iniziato un percorso in cui si sperimentano azioni e linguaggi. A partire da un modello di autoformazione continua si è messa in campo una rete di professionalità e competenze che ha realizzato campagne social e tour regionali, fino a interrogarsi su ciò che per ogni comunicatore rappresenta l’oro: le parole.


A distanza di 3 anni da quel “dopo” della pandemia è nata la volontà di capire a che punto sono le parole, capaci di seminare odio e violenza o anche di diventare leve per la costruzione di comunità. Abbiamo scelto le parole che riguardano le fragilità di quelle persone che in carne ed ossa vengono raccontate senza aver loro stessi il diritto di parola su salute, sofferenza, disabilità, dipendenza. E anche la fragilità delle stesse parole usate nella cooperazione o quelle che anche le istituzioni pubbliche pronunciano in modo automatico. Ci siamo organizzati e per mesi un gruppo di lavoro ha indagato, ricercato e si è confrontato con quelle stesse persone in carne ed ossa.
Il prodotto di questo lavoro è un Glossario che non è un documento chiuso ma un testo aperto a pagine nuove, per aggiornare quel vocabolario delle fragilità che meritano di essere raccontate con le parole giuste da parte di tutti. In questo senso vogliamo dare un contributo e condividerlo con l’Ordine dei giornalisti, con i media, con le istituzioni pubbliche, con le università, con le scuole, con gli operatori sociali e con tutti coloro che comunicano
con strumenti vecchi e nuovi. Lo facciamo con la consapevolezza dei valori fondanti di una grande comunità come quella della cooperazione sociale.

Giuseppe Manzo