Gorgona ed i suoi animali: una favola sociale divenuta realtà con la maialina Bruna

Nessun bambino sperduto. Nessun Peter Pan. Qualche Capitan Uncino forse… Gorgona, ultima isola-penitenziario d’Italia, è stata teatro di una favola: qualche detenuto, che provvedeva ad accudire gli animali degli allevamenti della colonia penale agricola, provò a chiedere al Direttore del carcere di risparmiare un animale dal macello. Non un animale qualsiasi ma quello che lui aveva accudito, nutrito e a cui aveva dato un nome: la maialina Bruna.
Questa “favola” ce l’ha raccontata Giovanni De Peppo, responsabile inserimenti lavorativi della cooperativa Collecoop di Collesalvetti, che ha riassunto il tutto così: “Ha trasformato un’obsoleta colonia agricola in un laboratorio di relazioni e di approfondimenti sul tema della rieducazione e del trattamento, particolarmente interessante anche in una prospettiva nella quale la cooperazione sociale può assumere un ruolo di straordinaria efficacia, spesso trascurato e dimenticato dalle Istituzioni”.
“Il Direttore, Carlo Mazzerbo, uomo di grande esperienza e straordinaria visione e convinzione per un carcere capace di non reprimere il meglio delle persone ristrette, sostenuto dal veterinario Marco Verdone, comprese quell’accorato messaggio di salvezza, scaturito dai detenuti e concesse la grazia e la vita per quegli animali sospendendo la “pena capitale” che regolarmente veniva eseguita impropriamente in un Istituto finalizzato a rendere migliori le persone”.

Un gesto straordinario, umano, pietoso? Non sta a noi dirlo. Sicuramente però, quel gesto, improbabile per la burocrazia penitenziaria, mise in luce quell’articolo 27 della Costituzione che stabilisce che la pena del carcere deve tendere alla rieducazione del condannato. La scelta coraggiosa del Direttore ha portato comunque ad un cambiamento: oggi gli animali, a Gorgona, come in una favola, vivono la loro vita senza il terrore della morte e i detenuti continuano ad avere cura e relazione con loro sentendosi diversi e migliori.
La scelta della non violenza ha portato, come il mare che bagna le coste dell’isola, tante persone e umanità. In primis LAV, associazione Lega Anti Vivisezione, poi l’Università Bicocca di Milano, che con la Facoltà di Giurisprudenza e il corso di Diritto Penitenziario, ha coinvolto ricercatori e studenti al progetto.

“La LAV – ricorda De Peppo – con la convinta e appassionata partecipazione del presidente Gianluca Felicetti, ha reso possibile una strategia sull’isola che ha esaltato l’opportunità che Gorgona possa diventare un modello di istituto penitenziario in cui etica e ambiente possano essere i parametri e le coordinate capaci di trasformare un’obsoleta colonia agricola in un luogo in cui i detenuti diventano protagonisti di una trasformazione”.
Gorgona è stata anche teatro di laboratori di scrittura creativa, tenuti da Prita Grassi, e “prefazione” di due libri: “Animali che salvano l’anima” e “Il lavoro in carcere e fuori”, pubblicati da Carmignani Editrice.
Entrambi elaborati da quei laboratori di scrittura in cui i detenuti hanno passato mesi di appassionante lavoro fatto di riflessioni, discussioni, confronti. Il primo sostenuto da LAV e il secondo da Collecoop. “L’incrocio di collaborazioni tra la Direzione del Carcere di Gorgona, la LAV e Collecoop, si è concretizzato da una parte nella capacità della cooperativa di inserire al lavoro detenuti già protagonisti dei progetti di Gorgona e dall’altra di collaborare con LAV al fine di finalizzare, con il sostegno dell’associazione e i contributi dei soci, il mantenimento degli animali e il lavoro sull’isola.”

Gorgona non c’era prima. Era un’isola carcere con tanti detenuti e un orizzonte di libertà che si perdeva nel Mar Tirreno. Quel gesto, quella richiesta di umanità, ha svelato un posto in cui anche chi ha sbagliato può provare a vivere una vita ‘normale’ e riprogrammare il proprio futuro, prendendosi cura di un agnello, di un maiale, di galline a cui dare un nome.