Dall’Uganda alla Cambogia: “nei sorrisi dei bambini c’è il coraggio per non arrendersi”

Sarebbe stato impensabile immaginare, trent’anni fa, quello che siamo riusciti a ottenere grazie alla tecnologia. Comodi sul divano possiamo ascoltare un concerto di Beethoven o ritrovarci nel sito archeologico di Machu Picchu, ordinare la cena, acquistare abiti, automobili, arredare case, creare vite virtuali. Il metaverso, l’intelligenza artificiale, i viaggi su Marte, i nuovi vaccini, il macchinario 3D che può ricostruire gli organi di un essere vivente. Il rovescio della medaglia è che tutto questo progresso ha portato anche delle conseguenze negative, sfociate prevalentemente in problemi di salute mentale e impoverimento delle capacità cognitive e comportamentali, soprattutto in determinate fasce di età e di sviluppo più vulnerabili sia in infanzia che in adolescenza. Oggi leggiamo di adolescenti pensierosi e titubanti, depressi, con grande paura per il loro futuro. Se ripenso ai miei 19 anni ricordo una generazione sognante e visionaria, ma la realtà ha superato la nostra immaginazione. Irene Dolciotti, cagliaritana, classe 2004, mi riporta indietro nel tempo, quando ancora non incombeva il problema della disoccupazione giovanile e non si avvertiva l’emergenza del cambiamento climatico che ancora oggi amano definire maltempo. Irene non sente la pressione sociale, vuole decidere con calma della propria vita e segue i suoi sogni. Così, dopo il diploma prende un anno sabbatico e non si iscrive all’Università, ma parte volontaria in Africa per aiutare i bambini più fragili ed esplorare nuove culture. Scelta inusuale, se consideriamo le priorità e le attitudini di molti suoi coetanei. La decisione è stata possibile grazie al supporto economico e morale della famiglia e grazie al sito Work Away, una piattaforma network che si basa sul lavoro volontario e permette agli iscritti di organizzare soggiorni in famiglia e scambi culturali. I volontari, o workawayers, forniscono il loro aiuto disponendo una quantità di tempo prestabilita al giorno, in cambio di vitto e alloggio. Irene sceglie Kasese, in Uganda, a dieci ore di autobus sgangherato dalla capitale Kampala, aderendo al programma lavorativo promosso da un’organizzazione locale, la ONG Worth A Heaven Foundation. Vuole conciliare l’attrazione per l’Africa con il desiderio di un’esperienza sociale e lavorativa. Si impegna, così, in due realtà differenti: un orfanotrofio e una scuola.

“In Uganda i bambini e gli insegnanti ti accolgono a braccia aperte, sono curiosi della cultura altrui, avviene uno scambio totale una vera e propria alchimia”

“La prima sensazione che ho avvertito quando sono arrivata è stata il cultur shock. È uno dei luoghi più caotici mai visitati in vita mia. Il rumore è costante, le persone circolano dappertutto. I primi giorni continuavano a chiamarci con un termine swahili, musungu, che vuol dire persona bianca. Inizialmente mi sentivo stranita, ma l’emozione ha preso il posto della paura iniziale dell’ignoto e dopo una settimana tutto ha iniziato ad appagarmi. In Uganda i bambini e gli insegnanti sono molto ospitali, accolgono a braccia aperte, sono curiosi della cultura altrui, avviene uno scambio totale, una vera e propria alchimia. Ho sempre immaginato questo Paese, ho sempre sognato ciò che ora vivo quotidianamente: le strade in terriccio rosso, le palme tropicali, i bambini liberi per strada. Purtroppo, dopo un’ondata di acqua e fango e un’epidemia di ebola la scuola è stata chiusa, quindi ora lavoriamo solo all’orfanotrofio. Svolgevo lezioni di inglese, matematica base e igiene per i bambini dell’asilo, e insegnavo inglese ai bambini delle elementari.

Le giornate erano strutturate: la sveglia presto, un’ora di tragitto con il boda (una specie di motocicletta), l’inizio delle lezioni dalle 9 alle 13 circa. Poi pausa pranzo prima dell’ultima lezione. Sia nella scuola pubblica che in quella privata, tutti i giorni di tutto l’anno, si mangia posh (una specie di polenta) e fagioli”. Sorride. “Dopo l’alluvione, frequente durante la stagione delle piogge, è stato indetto un crowfounding per riparare i danni e costruire delle aule aggiuntive. Al momento abbiamo 7 aule per circa 200 alunni e 10 insegnanti. Vorremmo impedire la dispersione scolastica ma è molto difficile perché qui, purtroppo, l’istruzione non è obbligatoria. Per il governo la scuola non è un bene di prima necessità, gli insegnanti non sono salvaguardati né assicurati, il loro salario deriva solamente dalla retta scolastica degli studenti. Se capita che un docente si ammali o manchi per una settimana da scuola, non viene pagato. La scuola è privata, si regge esclusivamente grazie alle donazioni. I volontari hanno inclusi l’alloggio e il pranzo, tutto il resto è autofinanziato. Come se non bastasse, l’Uganda sta attraversando una forte crisi economica e molti genitori non si possono più permettere di pagare le rette. Le difficoltà sono date dalla dittatura del Presidente Yoweri Museveni, al potere dal 1986. I soldi, a dire il vero, ci sarebbero essendo questo uno dei paesi più turistici, ma la corruzione arricchisce solo politica, Stato e Polizia. Stanno bene solo i più potenti”.

“Tra pochi mesi sarò a Kampong Cham, in Cambogia. Porterò dentro di me tanti sorrisi e tanti traguardi raggiunti qui”

Quando tornerai a casa, cosa ti porterai dietro? Che augurio rivolgerai ai tuoi alunni?
“Questa esperienza ti fa sentire utile. Un anno sabbatico non è perso se sfruttato bene, è un anno acquisito in cui si cresce molto. Che io sappia, nessuno si è pentito di scelte come la mia. Ho deciso di non rientrare a casa, per ora. Voglio continuare questa esperienza, tra pochi mesi sarò a Kampong Cham, in Cambogia. Ho anche in progetto di andare in Sud America. Le favelas brasiliane o l’area rurale del Perù mi attraggono molto. Consiglio vivamente un’esperienza simile, con l’indicazione precisa di partire con la mente totalmente aperta e libera. Bisogna essere consapevoli di andare in un posto completamente diverso, in cui le nostre regole occidentali non valgono nulla. Occorrono tanta pazienza e tanta voglia di imparare: se si hanno queste va tutto liscio e, nonostante i momenti di disagio, si cresce tanto. Io mi sento molto cambiata, arricchita”.

La sua voce dolce continua a raccontarmi ciò che i suoi occhi di giovane donna hanno visto. “Sarà difficile dimenticare alcune situazioni. Il peso, talvolta, è davvero grande, ma nei sorrisi dei bambini c’è il coraggio per non arrendersi. Potrei raccontarti la storia di una bambina, iscritta alla scuola, accompagnata dai genitori che non sono più venuti a riprenderla”. Un attimo di silenzio, poi continua. “Molte volte i genitori non riescono a prendersi cura dei propri figli e così finiscono in orfanotrofio. Quello in cui lavoro conta 25 bimbi. Da poco, è arrivata una nuova bambina alla quale è morta la madre e il padre non se ne vuole occupare. Abbiamo deciso di prenderla in carico, ma è difficile. Le famiglie sono sempre più povere, la scuola è un vero e proprio lusso. Porterò dentro di me tanti sorrisi e tanti traguardi raggiunti qui, anche se il nostro lavoro non è mai abbastanza. Auguro loro di poter proseguire gli studi e di realizzarsi, anche se hanno il mondo contro, ovunque vogliano”.

Roberto Vecchioni, Sogna ragazzo sogna

E la vita è così forte
Che attraversa i muri per farsi vedere
La vita è così vera
Che sembra impossibile doverla lasciare
La vita è così grande
Che quando sarai sul punto di morire
Pianterai un ulivo
Convinto ancora di vederlo fiorire
Sogna, ragazzo sogna
Quando cade il vento ma non è finita
Quando muore un uomo per la stessa vita
Che sognavi tu
Sogna, ragazzo sogna
Non cambiare un verso della tua canzone
Non lasciare un treno fermo alla stazione
Non fermarti tu.