Alice Pignagnoli è una calciatrice che è stata messa fuori rosa quando è rimasta incinta. Un’esperienza dura che racconta quanta strada debba fare lo sport su questo tema e quanti sacrifici, e ipocrisie, si nascondano dietro il sogno del calcio femminile

Emiliana, reggiana per la precisione, classe ’88 e un carattere forgiato con il vento e con il fango dei campi di periferia. Alice Pignagnoli è una donna, una mamma, una moglie e una calciatrice, tutte mescolate insieme, con una laurea alla IULM in Scienze della Comunicazione ottenuta con il massimo dei voti; il 1° febbraio è uscito il suo libro Volevo solo fare la calciatrice. A calcio ha iniziato a giocare a sei anni, insieme con i maschi, perché all’epoca usava così. Madre nuotatrice, padre pallavolista, Alice ha dovuto lottare a lungo per poter praticare lo sport che amava e che ama: “Ed è proprio quando una cosa non si può fare che io la voglio fare”, afferma. L’unico che condivideva la sua passione era lo zio Aldo e per un po’ ha praticato pallavolo, prima di utilizzare le mani in maniera diversa: “È stata una gavetta dura e importante, ricordo che quando vincevamo gli avversari piangevano perché avevano perso contro una femmina. Mia madre si rifiutava di lavarmi il materiale sportivo, per la vergogna, ma per fortuna ci pensava l’allenatore”. Tutto è iniziato nel settore giovanile della Reggiana – oggi Sassuolo – femminile. Con il Galileo Giovolley, società polisportiva di Reggio Emilia, l’esordio in Prima squadra, poi Tradate Abbiate, Milan, Como, Napoli e Torres, squadra con la quale vince uno scudetto, disputando la Champions League, e una Supercoppa Italiana. Continua con Riviera di Romagna, Atletico Oristano, Chievo Verona, Imolese, Mantova, Genoa Women, Cesena e Lucchese. Una storia lunga nella quale ha vissuto alcuni fallimenti societari e relative mensilità non pagate: “Se in mezzo a mille difficoltà sono riuscita a essere una dilettante capace di mantenersi con lo sport lo devo alla mia perseveranza, alla mia bravura e, sicuramente, alla mia cocciutaggine, facendo scelte sportivamente meno vantaggiose ma che mi hanno permesso di sostenermi economicamente. Quando, poi, ho incontrato il mio futuro marito – ci siamo sposati nel 2016 –, mi sono resa conto che con i miei contratti da calciatrice non avevo stabilità economica, non avevo accesso al mutuo della casa, così ho dovuto fare delle scelte e scendere di categoria per trovare il giusto equilibrio tra calcio e famiglia e non dover rinunciare ad alcuna delle due”. Alice oggi ha una figlia e un altro in arrivo – molto probabilmente nascerà mentre il giornale è in stampa – che, come dice lei, sono venuti quando hanno deciso loro. Essere madre e lavoratrice in questo Paese è già complesso, così come essere madre e atleta, a maggior ragione quando fai parte di una squadra. La prima gravidanza, quando vestiva la maglia del Cesena, sembrava avere dimostrato che si poteva essere atlete e madri con successo. La seconda, invece, ha aperto un contenzioso con la Lucchese che l’ha messa fuori squadra. “La prima gravidanza per me è stata uno shock. Gioco da quando avevo sei anni e dovermi fermare, far mancare alla squadra il portiere titolare, era una grande responsabilità. Per fortuna allenatore e presidente mi sono venuti incontro, sia dal punto di vista emotivo che economico e mi hanno rinnovato il contratto, perché nel calcio femminile questi sono annuali. Non è da tutti rinnovare il contratto a un’atleta incinta. Ho fatto il cesareo e grazie a uno staff medico d’eccezione sono tornata in forma in circa tre mesi, giocando la prima gara contro il Milan in Coppa Italia. Poi, però, è diventato un problema gestire la bambina con gli impegni della squadra, allora mi allenavo parte della settimana con quella di mio marito, che giocava in Eccellenza, e il resto a Cesena, tra allenamenti, partite e trasferte. Così è finita, perché il Cesena mi avrebbe rinnovato il contratto – riducendomi il compenso – solamente se restavo lì tutta la settimana”, ricorda Alice Pignagnoli.

“In tutti questi anni il mio desiderio è stato solo quello di giocare a calcio, ma la vita mi ha trasformata e allora cercherò di lasciare il segno sui nostri diritti”

A questo punto Alice decide di scendere dalla B alla C, vestendo la maglia della Lucchese, estate 2022: “Scopro di essere incinta a ottobre dello scorso anno – racconta Alice –. Lo comunico al mister che si dice contento per me e che io per lui sono insostituibile. Anche le mie compagne salutano con gioia la notizia e di fronte alle mie lacrime mi ricordano quali siano le cose importanti. Qualche giorno dopo, però, l’ad mi dice che i contratti andrebbero rispettati, che hanno parlato con il mio procuratore e che da quel momento non mi avrebbero più pagata; quando poi hanno saldato gli arretrati alle mie compagne di squadra a me non era arrivato ancora niente. Ma il punto non è economico. È una questione di principio, non si butta via una persona, una calciatrice, perché è rimasta incinta. A metà novembre mi arriva una mail dove mi si chiede di restituire il materiale sportivo e liberare il posto letto. Ho dovuto chiamare mio padre per aiutarmi, incinta, a liberare la stanza, mi stavano privando della mia identità. A fine novembre poi mi hanno sbattuto fuori dal gruppo squadra; più tardi sono stata cancellata dal gruppo WhatsApp. A quel punto l’AIC mi ha affiancato con un avvocato e sono sostenuta anche da Assist, Associazione Nazionale Atlete. Hanno cambiato pure la PEC del club per poter dire che non avevano ricevuto le comunicazioni del mio avvocato, mentre i giornalisti e i tifosi si chiedevano perché non giocassi. Alla fine ho rilasciato un’intervista dicendo la verità e loro hanno risposto con un comunicato nel quale asserivano che in quanto atleta dilettante non mi spettava niente. Sulla mia vicenda, inoltre, è intervenuta l’onorevole Laura Boldrini che ha presentato un’interrogazione parlamentare. Io non voglio strumentalizzare quello che mi sta accadendo, ma sono rimasta sola e ho deciso che questa battaglia va combattuta fino in fondo per tutte quelle ragazze che sognano di diventare delle calciatrici e non vogliono rinunciare a tutto il resto; quando ero più giovane c’erano ragazzi che si vergognavano di essere fidanzati con una giocatrice e io ritengo che questa mentalità vada sradicata, sia per allargare la base del nostro movimento, sia per una società più inclusiva”.

“Quando ero più giovane c’erano ragazzi che si vergognavano di essere fidanzati con una giocatrice di calcio”

La cosa incredibile è che se si fosse infortunata avrebbe avuto maggiori tutele. Nel frattempo – grazie all’intervento dell’avvocato e alle pressioni dei media – la Lucchese ha accettato di pagarle i due mesi di ingaggio che le spettavano, dopo di ché è intervenuto il fondo di solidarietà delle atlete che garantisce dodici mensilità. Di contro Alice Pignagnoli è diventata un esempio per tante ragazze e per tante donne – molte giornaliste – che l’hanno incoraggiata, mentre gli uomini, soprattutto sui social, da dietro uno schermo, sono stati i peggiori: “Hanno messo in dubbio che il calcio femminile sia uno sport, che lo facevo per i soldi, o che per quei pochi spiccioli che prendevo potevo anche smetterla. Il problema è che ci sono tantissime donne nelle mie stesse condizioni in tanti ambienti lavorativi diversi. Donne che non possono avere un figlio perché altrimenti rischiano di perdere tutto. Volevano che stessi zitta, ma io non sto zitta”.
La storia di Alice ha più risvolti, quello clamoroso è il diritto alla maternità che in Italia, tra mille contraddizioni, sembra non essere garantito nella pratica e questo vale sia per le donne lavoratrici che per le donne atlete. C’è poi un aspetto più sottaciuto che riguarda il calcio femminile e anche in questo caso la nostra calciatrice ha le idee chiare: “Nel calcio femminile le società hanno tutto il potere, noi atlete invece non abbiamo diritti. Le società pensavano di gestirlo con le stesse modalità dei maschi senza le identiche tutele, ma allora è una presa in giro. Ci sono ragazze che prendono 300 euro il mese, che mangiano solo pasta in bianco e tonno, per non finire i soldi, e poi non si reggono in piedi durante gli allenamenti, i nostri contratti sono annuali e non abbiamo alcuna tutela né versamenti pensionistici; un passo avanti potrebbe essere riconoscere il lavoro sportivo, che non riguarda solo la maternità, occhio però alla giurisprudenza che indica nel limite
dei mille euro la differenza tra lavoratore dilettante e amatore, perché così diventa facile aggirare la legge”.

“Questa mentalità va sradicata sia per allargare la base del nostro movimento, sia per una società più inclusiva”

E il professionismo nella Serie A femminile non ha risolto quasi niente: “Il mercato in B è diventato una jungla, perché molte società di A pur di non fare il contratto ad alcune ragazze le hanno mandate in prestito nel campionato cadetto, dove vige ancora il dilettantismo: la differenza tra un salario minimo di 20-30mila euro e qualche centinaio di euro di rimborso spese; io non ho mai preso meno di 700 euro di rimborso”. Alice ha, per fortuna, anche degli sponsor che vanno dal suo vestiario all’azienda che ne segue l’alimentazione e la performance mentale. Nel suo libro racconta di essere cresciuta nel mito di Del Piero e Buffon e si rallegra, invece, che oggi ci siano bambine e ragazze che possono sognare di diventare le nuove Bonansea. Per motivi di tempo, nel volume edito da Minerva, mancherà il racconto di quello che sta vivendo in questi mesi, ma preferisce così: “Spero che la crescita del calcio femminile non si porti dietro le brutture di quello maschile. Io ho fatto tanta fatica e ho voluto raccontare quanta forte sia stata e sia la mia passione per questo sport. Oggi le ragazze hanno professionisti che le seguono, strutture e materiale adeguati, tra cui numerosi completi a disposizione, noi, invece, avevamo campi inadeguati, staff di scarto dal maschile e solo un kit che spesso rimettevamo bagnato perché non aveva fatto in tempo ad asciugarsi. Vorrei insegnare ai miei figli quanto è importante battersi per ciò in cui si crede. In tutti questi anni il mio desiderio è stato solo quello di giocare a calcio ma la vita mi ha trasformata in una persona influente e allora cercherò di lasciare il segno anche sui nostri diritti”. Le uniche società che, nel frattempo, si sono fatte vive per ingaggiare Alice Pignagnoli – un portiere della sua età ha ancora tanti anni di carriera davanti a sé – sono state la Ternana, lo scorso Natale, e il Cittadella: vediamo se confermeranno le loro intenzioni durante il mercato estivo. Alice, fino a dicembre, godrà della maternità garantita dalla federazione ma è disposta a rinunciarvi in caso di una valida offerta, che come tale non è ancora arrivata e c’è da pensare che, con tutto il clamore mediatico che ha avuto la sua vicenda, i club abbiano timore a tesserarla perché non vorrebbero mettersi in casa una ‘rompiscatole’. Il presidente del Cesena, invece, le ha telefonato per dirle che probabilmente il suo futuro è quello della sindacalista delle calciatrici e dei loro diritti. La maternità, abbiamo scoperto – grazie ad Alice – è solo uno dei tanti che devono essere ancora affermati.