La cooperativa sportiva fiorentina non è solo una società, non è solamente una squadra che gioca nel campionato di Promozione. È uno spazio di lotta e consapevolezza, è un terreno dove ci si batte per una società più giusta, tirando calci a un pallone.

La storia del Centro Storico Lebowski è stata raccontata spesso come una delle tante favole romantiche del calcio, quando la narrativa supera i confini della decenza. Pochissimi hanno inquadrato la vicenda di questo club toscano come una vicenda politica, una presa di coscienza prima e di posizione dopo, qualcosa che voleva rompere gli schemi del rapporto tifosi/società, dove i primi sono sempre più considerati dei consumatori e meno degli appassionati. Dove il calcio è un volano sociale prima che sportivo, dove il gioco resta tale, senza dimenticare le rivalità che ne fanno parte. Il Centro Storico Lebowski è stata la prima società in Toscana a fare esordire una squadra interamente femminile nella categoria Piccoli Amici. E questa è solamente la punta dell’iceberg di un impegno sociale che parte dal rapporto sano e corretto tra club e tifosi, interpretando il calcio come modello educativo, che rappresenti la comunità di riferimento, che sia veicolo di valori e di diritti, tra cui quello alla salute, e che combatta sessismo, discriminazioni, razzismo e lo sfruttamento che si nasconde nelle pieghe dei lavori sportivi. «Spiacente, Smokey, hai varcato la linea. Non vale» è una delle frasi del film “Il Grande Lebowski” che ha segnato un’epoca e forse più di una generazione. Il Centro Storico Lebowski, divenuto cooperativa sportiva dal 2018, di linee ne ha varcate più di una, sin dalla sua fondazione, anzi, sin dalla ricerca di una squadra che rappresentasse un calcio diverso, o semplicemente il calcio come tutti impariamo ad amarlo da piccoli e da piccole. È nato prima l’uovo o la gallina, è nata prima la squadra o i suoi sostenitori? Difficile dirlo. Per questo ce lo facciamo raccontare dall’attuale presidentessa: Ilaria Orlando.

Come nasce l’idea del Centro Storico Lebowski?

«L’idea del Centro Storico Lebowski nasce alcuni anni fa da un gruppo di ragazzi che ha scelto di seguire una squadra, nelle categorie dilettanti fiorentine, perché perdente. Da lì c’è stato un percorso abbastanza lungo che ci ha portato all’idea di creare una società sportiva nostra, passando dal lato dei tifosi a quello dei proprietari e dirigenti».

Perché avete deciso di trasformarvi in cooperativa sportiva?

«La trasformazione da società a cooperativa sportiva nasce da una parte dalla prospettiva di poter creare posti di lavoro e dall’altra per sollevare il presidente dalla totale responsabilità decisionale. Diciamo che la cooperativa è la forma amministrativa più adatta alle nostre esigenze».

In che modo vengono assegnate le cariche all’interno del club?

«Attraverso le elezioni. Con queste eleggiamo il Cda, consiglio di amministrazione, e all’interno di questo le cariche di presidente e vice presidente. Alle elezioni, ovviamente, possono partecipare tutti i soci della cooperativa. Io? Sono in carica da gennaio 2020, poco prima della pandemia».

È più difficile fare quadrare i conti o rispettare i criteri socioeducativi che vi siete dati?

«Fare convivere il lato economico con quello organizzativo, educativo ed etico che ci siamo dati ci ha messo più volte in difficoltà. Difficoltà risolte dall’assemblea dei soci che da’ le linee guida al cda, è questa che deve indicare la strada e quali siano gli aspetti da privilegiare o meno, a seconda della situazione».

Qual è il risultato, non per forza sportivo, di cui andate più fieri?

«Domanda difficile. Ci sono tante cose. Innanzitutto le promozioni che ci hanno portato dalla Terza categoria alla Promozione. Quando abbiamo organizzato una sagra mettendo a tavola centinaia di persone. Diciamo che andiamo fieri quando ci poniamo un obiettivo e riusciamo a raggiungerlo, e quando ci poniamo obiettivi ambiziosi, e al tempo stesso utopistici, in un modo o nell’altro riusciamo a realizzarli».

Con quali criteri scegliete giocatori, allenatori e componenti dei vari staff tecnici?

«Sotto al Cda c’è un consiglio di gestione con i rappresentanti di tutte le aree operative, tra questi anche quelli che si occupano delle squadre di calcio, il lato più sportivo. Loro sono deputati a queste scelte in linea con la nostra filosofia e si prendono la responsabilità di ciò che fanno».

“Coniugare la crescita sportiva con i nostri principi fondanti”

Come si coniugano i risultati sportivi con quelli socioeducativi?

«Coniugare la crescita sportiva con i nostri principi fondanti ci ha portato spesso a dibattiti risolti all’interno dell’assemblea dei soci, come tutti i grandi cambiamenti che abbiamo dovuto affrontare. Ovviamente, salire di categoria ci ha costretti a rivedere certe nostre rigidità, perché se vogliamo fare un percorso che arrivi a più persone possibile dobbiamo trovare dei punti d’incontro, come il rimborso spese ai giocatori. L’importante è che la questione sia dibattuta dai soci e che tutti insieme siano consapevoli della decisione presa, soprattutto sui temi radicali, una decisione che non sia solamente del presidente».

Una presidentessa, un caso o una volontà?

«All’interno del cda ci sono sette persone, quattro con cariche specifiche e tre con cariche che noi definiamo di controllo. Ed è tra queste che scegliamo presidente e vice presidente. Essendo due donne e un uomo la scelta è ricaduta su di noi, visto che anche la vice presidente è donna. Diciamo che in un mondo dove è difficile trovarci in posizioni di vertice, in particolare quelle apicali, può essere un messaggio importante da veicolare».

“Il nostro concetto di politica? L’integrazione di persone che hanno situazioni socioeconomiche difficili. La vicinanza alla realtà sociali”

Dire che il Centro Storico Lebowski fa politica, nel suo significato più alto, è giusto o sbagliato? E, in entrambi i casi, in quale misura?

«Il Centro Storico Lebowski fa politica con le scelte che fa. Attraverso la vicinanza ad alcune realtà sociali, attraverso l’esposizione di messaggi durante la partita, con l’integrazione di persone che hanno situazioni socioeconomiche difficili. Credo che questo sia il nostro concetto di politica, al di là dello schieramento… che è evidente».

Che tipo di rapporti siete riusciti a intrattenere con le amministrazioni locali?

«Abbastanza buoni, sia con il comune di Impruneta che con quello di Firenze. Rapporti che speriamo siano sempre migliori, perché senza un buon rapporto è difficile progettare il futuro e come sempre ci vuole un punto d’incontro tra esigenze diverse».

Cosa ne pensate della riforma dello sport e dei contratti di lavoro sportivo? Potrebbero mettere a repentaglio il vostro modello associativo?

«Ne stiamo parlando. Chi dentro la cooperativa si occupa della parte amministrativa e segue queste cose riferirà alla prossima assemblea. Temiamo che possa mettere in discussione la nostra forma associativa».

Quali sono gli obiettivi a medio termine che avete in mente di realizzare?

«A medio termine non lo so. Noi siamo degli improvvisatori. Seguiamo il flusso di quello che ci accade. Il sogno lontano? Gestire un impianto tutto nostro, chissà…».

Il fenomeno ultrà, volenti o nolenti, è parte integrante di quel calcio che vi siete lasciati alle spalle, qual è il modello di tifo cui si rifà la curva Moana Pozzi? E perché proprio questo nome?

«La curva Moana Pozzi è l’anima fondante e fondatrice della cooperativa. Tutto quello che è oggi il Centro Storico Lebowski deriva da quell’ambiente lì, da quel fenomeno sociale e aggregativo che ogni partita si ritrova nella nostra curva. Molte persone vengono da altre curve, più mainstream, e sono arrivate qui perché cercavano una dimensione diversa, che li rappresentasse come esseri umani. Il nome Moana Pozzi? È chiaro».

Come si innesta l’ingaggio di Borja Valero, ex, tra le altre di Villarreal, Fiorentina e Inter, dal punto di vista sportivo e socioeducativo all’interno del Centro Storico Lebowski?

«L’ingaggio di Borja Valero, un po’ come tutto il resto, nasce da un sogno, l’idea di qualcosa di irrealizzabile; non ci siamo dati un obiettivo preciso. Pensavamo, però, che la sua presenza ci potesse aiutare a veicolare a quante più persone possibile il nostro messaggio e le nostre idee. Borja Valero ci ha ascoltati e ha sposato la nostra filosofia, per raggiungere realtà che altrimenti non avrebbero mai conosciuto il Centro Storico Lebowski».

Obiettivo raggiunto?

«Per ora sì. Ma non ci fermiamo».

Borja Valero

Il primo giorno al Centro Storico Lebowski è stato raccontato in un video divertente, dove solamente alla fine si capisce che il calciatore in questione è Borja Valero, campione d’Europa Under 19 nel 2004 con la Spagna. Cucinare un piatto di pasta, spostare fusti di birra, dare lo straccio in terra e condividere tutti quei principi che fanno di questa squadra dilettante un unicum nel panorama calcistico. Qui si partecipa a tutte le attività per un obiettivo comune, che non è solamente la sopravvivenza del club, ma soprattutto i suoi principi socioeducativi. Anche se il primo impatto con il campo da gioco, polveroso, ha lasciato perplesso l’ex centrocampista viola. Soprannominato il «Sindaco» per la sua leadership innata, non solo in mezzo al campo, Borja Valero ricorda un po’ il Carlo Verdone della sua ultima serie, investito di aspettative sopra le righe per uno che alla fine nella sua vita ha fatto sempre e solo il calciatore. Se, però, c’è una cosa che unisce il giocatore spagnolo alla filosofia del Centro Storico Lebowski è il non avere mai abdicato ai propri valori pur giocando ai massimi livelli, dove il compromesso è sempre dietro l’angolo. Valori e principi che sono il focus di questa nuova avventura. L’arrivo di Borja Valero al Centro Storico Lebowski ha acceso gli entusiasmi di una tifoseria che in questi dieci anni si è goduta varie soddisfazioni, passando dalla Terza categoria alla Promozione. Adesso sono in tanti a chiedersi se con l’ex viola in campo la squadra avrà la chance di giocarsi un nuovo salto di categoria e conquistare l’Eccellenza. Un modo per fare parlare ancora di più di sé e della propria filosofia, dove lo sport, in questo caso il calcio, sembra rimanere in secondo piano. Eppure, proprio la presenza di Borja Valero scozza piani e definizioni fino a ieri incontaminati. «Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette. Quest’altr’anno giocherà con la maglia numero 7». Sì, lo sappiamo, quella di Borja Valero è la numero 20, il numero con cui ha conquistato la Fiorentina e Firenze, diventando un idolo per la tifoseria viola. Adesso è qualcosa di più e di diverso. Adesso c’è un uomo che scende in campo con il Centro Storico Lebowski, un uomo che si è fatto prendere e che prende per mano: una squadra, una filosofia, una visione. Che il calcio sia molto di più che litigarsi un fallo laterale.