Giovannini: “salvare paesi come questo significa cambiare radicalmente noi stessi”

Alessandro Giovannini ha 29 anni ed è il Rappresentante di Cospe in Niger. Vive a Niamey dal dicembre 2020. Ci racconta un paese in guerra di cui nessuno parla e a cui quasi nessuno pensa.
“Il 31 marzo dello scorso anno, pochi mesi dopo il mio arrivo in Niger, è stato messo in piedi un tentativo di colpo di stato a seguito dei contestati risultati delle elezioni di febbraio. Quella notte tutti i residenti del quartiere dove vivo, non lontano dal palazzo presidenziale oggetto dell’attacco, sono stati svegliati dagli spari, che sono durati per tutta la notte. L’indomani nel giardino di casa mia abbiamo ritrovato un proiettile, che per la prima volta mi ha dato la misura che il pericolo fosse molto più vicino di quanto pensassi. Il cerchio in cui il Niger può considerarsi “sicuro” si stringe sempre di più. Nelle regioni di Tillaberi (nord-ovest), Diffa (sud-est) e nella zona nord di Tahoua, la situazione è quella di emergenza costante, con un’accessibilità dell’aiuto umanitario molto difficile se non apertamente compromessa. Di Niger si parla poco o nulla, e quando se ne parla lo si fa per tragedie, come quella di Kouré dell’Agosto 2020, dove hanno perso la vita 7 persone (6 francesi e l’autista nigerino). In queste condizioni l’attenzione meticolosa alla sicurezza non deve mai venire meno”.
Una guerra sulla quale non si accendono i riflettori dei media internazionali. “Ricercare informazioni sul Niger a distanza equivale a un esercizio di coraggio non indifferente. Per chi, come il sottoscritto, ne conosceva abbastanza poco, cercare le informazioni essenziali su internet ha corrisposto a districarsi tra notizie legate all’evoluzione dello scenario del terrorismo internazionale, del traffico di esseri umani e di un clima di generale instabilità, politica e sociale, in cui il margine d’azione di un espatriato è sempre più limitato, a volte alle mura stesse di casa propria”.

“Credo che il nostro ruolo è quello di mettere le persone in condizione di cercare il loro stesso sviluppo.”

Sul posto, le cose cambiano. “Parlare di Niger significa approfondire le cause profonde della povertà estrema. Farlo implica a sua volta mettere in discussione il nostro ruolo in quanto Paesi sviluppati e il nostro grado di responsabilità in questo sistema sì interconnesso ma sempre meno solidale. Attuare misure correttive di questo sistema passa per il rinunciare ad alcuni asset economici, politici e sociali che è sconveniente modificare. Bisognerebbe, ad esempio, rinunciare al controllo su risorse energetiche strategiche, rimettere in discussione un’idea di mercato che impone prodotti dall’estero e che taglia le gambe ai piccoli produttori, impedendo la fioritura di un mercato locale più giusto che è di fatto alla mercè delle grandi potenze commerciali. E questo solo per citarne un paio. Salvare paesi come il Niger significa cambiare radicalmente noi stessi, e tale questione non è molto “mediatica”. Molto più semplice è accendere il focus quando una qualche emergenza esplode, parlando di elementi congiunturali perdendo di vista la sovrastruttura che li genera”.
La popolazione impara a convivere con la guerra: “i nigerini sono in generale dotati di una laboriosità invidiabile, condizione indispensabile per adattarsi a un clima (e a un territorio) così ostile. Per giunta, con il degradamento della situazione securitaria degli ultimi anni, il Niger è passato da essere una delle mete turistiche più ambite nell’Africa Occidentale a divenire uno dei simboli di povertà assoluta, occupando ormai stabilmente l’ultimo posto nella classifica dell’ISU (Indice di Sviluppo Umano). In questa situazione, la capacità di reinventarsi delle persone fa la differenza. Credo però che il nostro ruolo è quello di mettere le persone in condizione di cercare il loro stesso sviluppo, laddove non ci riuscirebbero se abbandonati a sé stessi. Così, se dovessi citare una piccola storia simbolo, farei senz’altro riferimento al mio guardiano, Ismael, che quando ho affittato casa qui a Niamey con alcuni colleghi, occupava abusivamente la piccola dépendance in giardino e che, in accordo con i coinquilini, abbiamo deciso di tenere con noi anziché abbandonarlo a sé. Ed è stata la migliore scelta che potessimo prendere. Oltre a rivelarsi un egregio guardiano e con una voglia di fare invidiabile, con il tempo ha imparato il francese anziché esprimersi in lingua Djerma, conoscendo alcuni amici nel quartiere dove viviamo, con i quali è arrivato a fare un piccolo investimento e ad avviare una micro attività di vendita di tabacchi nella strada antistante casa mia, lavorando inoltre per Cospe. Queste sono le persone che, se abbandonate a sé stesse, potrebbero decidere di cercare rifugio tra le fila dei vari gruppi terroristici, ma che invece, con il giusto supporto, riescono ad esprimere al meglio le proprie potenzialità”.

Quando la passione diventa professione

Alessandro Giovannini è il rappresentante Paese di Cospe in Niger. Ha 29 anni appena compiuti e vive a Niamey. Ha seguito un percorso di studi in cooperazione internazionale conseguendo una laurea triennale presso l’università “Roma Tre”, proseguendo successivamente con una laurea magistrale in scienze della popolazione e dello sviluppo in Belgio, presso l’Université Libre de Bruxelles (ULB). Durante i suoi studi, ha avuto modo di visitare diversi Paesi, su tutti il Vietnam, dove ha avuto un’esperienza di tirocinio presso un’ONG locale ed ha svolto una ricerca di studi sulle minoranze etniche delle regioni settentrionali vietnamite nell’ambito della sua tesi di laurea. “Ho dunque sempre perseguito una vita nella cooperazione, che rappresenta sia la mia passione che professione”.

Cospe e il Niger

La storia di Cospe è legata a doppio filo a quella del Niger. E’ arrivata nel Paese dal 1986 con una visione di sviluppo che agisce sulle cause della povertà e sulle sue radici profonde. “Abbiamo in mente un percorso in costante evoluzione – sottolinea Giovannini – che mette al centro l’essere umano e ciò che lo circonda. Cerchiamo di farci promotori di una visione che prescinda dalla spettacolarizzazione di ciò che facciamo, ma che è tutta incentrata sul costruire percorsi di sviluppo duraturi e che vadano avanti oltre la durata dei nostri progetti. Per farlo al meglio avremmo bisogno di strumenti di finanziamento basati sui risultati, che siano sufficientemente flessibili per permetterci di adattarci a un contesto che, soprattutto in Paesi come il Niger, cambia a volte da un giorno all’altro. A volte combattiamo invece con strumenti (e mentalità) rigide e superate per cui il margine di adattamento di un progetto in corsa è limitato e tutto ciò che esce dal percorso previsto è malvisto e, talvolta, ostacolato. Questo a volte impatta pesantemente sull’impatto delle nostre azioni”.

La vita quotidiana di un capo missione

Sono arrivato nel Paese come Amministratore. Ho poi coperto l’interim della Rappresentanza e ora sono Capo Missione a tutti gli effetti. Le mie giornate (e settimane) sono senza dubbio fittissime di impegni. In principio si tratta di mettere tutti i membri dell’équipe (in Niger 35 persone circa) nelle condizioni di poter fare il proprio lavoro. Si tratta in sostanza di un grande lavoro di facilitazione e coordinamento. Una componente cruciale è poi quella della strategia dell’ONG nel paese, che impone un lavoro approfondito di approfondimento del contesto e delle tendenze politiche, sociali ed economiche al fine di poter elaborare proposte che rispondano sempre ai bisogni dei beneficiari. C’è inoltre tutto un lavoro di strutturazione di legami con i donatori e di alleanze strategiche con le partnership, quello che viene definito “posizionamento”. Il coordinamento tra i molteplici attori attivi in contesti emergenziali come il Niger è cruciale alla buona riuscita dei progetti di sviluppo. Ragionare non come entità separate, ma come parte di un sistema più ampio è una delle sfide più difficili e rilevanti che si parano innanzi a un attore di sviluppo. In quanto Rappresentante Paese il mio ruolo è di avere questa visione strategica, concertando il tutto con il coordinamento di Cospe in Italia.