La storia del laboratorio A.TRA.C.TO. del Valdarno

La prima volta che li vidi, tutti assieme appassionatamente, dentro quel vecchio pulmino, ho pensato a Jack Nicholson, con i suoi strampalati amici, nella fuga avventurosa di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Poi, appena messi a fuoco e soprattutto riconosciuti mi fu invece piuttosto chiaro il gusto sagace e l’autoironia di chi, nonostante tutto, sa comunque mettersi in gioco. Sto parlando di quei mattacchioni del laboratorio di teatro A.TRA.C.TO. guidato dal paziente (quasi sempre) e prezioso, regista ed autore teatrale, Silvano Alpini, dell’Associazione Masaccio. Sembra proprio che questi ragazzi ed il regista si annusassero e cercassero da sempre, fino a trovarsi. Da un lato Silvano, perennemente incuriosito ed appassionato ricercatore di cause e espressività meno convenzionali, come la promozione della follia sana ispirata dalle parole di Alda Merini, la lotta contro la disuguaglianza tra uomini e donne, o tra abilità e disabilità. Dall’altra loro, quelli della A.TRA.C.TO., che poi non è altro che l’acronimo dell’Associazione Traumi Cranici Toscani, pronti a mettere assieme la loro voglia di continuare ad essere attivi, nonostante le complicazioni con cui le avversità della vita li hanno segnati, con l’amore per la recitazione ed il desiderio di divertirsi e di girare un po’. L’alchimia e la casualità hanno fatto il resto. Era il 2014 quando Ivana Cannoni, donna tenace e generosa, madre della simpaticissima Alessia e Presidente dell’Associazione, si incontrò con Silvano. All’epoca, neppure si conoscevano, pur abitando tutti nel Valdarno, e Silvano non sapeva neppure bene quali fossero le problematicità di quei ragazzi. “Ci è voluto del tempo prima che capissi appieno la realtà con cui avrei cominciato a collaborare”. Era evidente sin dall’inizio che tutto era ricreativo e culturale, per dirlo alla Benigni, ma non si trattava di un gioco. Era necessario intrecciarsi, conoscersi, mettersi a nudo gli uni con gli altri. Con un po’ di avventatezza, cominciarono a frequentarsi, a lavorare assieme. Enfatizzare l’inclusione e la parità, forse, il primo obiettivo, ma oggi, forse, nemmeno l’unico.
Una scommessa questa compagnia, in cui gli attori portano sul palco simpatia, coraggio ed entusiasmo assieme alle loro storie sanitarie ed umane assai complesse. Fra loro c’è chi ha incontrato l’auto a folle velocità attraversando la strada sulle strisce, chi con quelle complessità c’è nato, chi un maledetto giorno ne è rimasto colpito per un “banale” ictus. Chi parla di continuo e chi per nulla, chi è sempre in piedi e chi in sedia a rotelle. Il teatro diventa strumento ed occasione per riconquistare il controllo sulla propria vita e, soprattutto, per riguadagnare la propria autonomia e dignità. Nel corso delle attività e della scuola di teatro si sono uniti al gruppo anche persone affette da sclerosi multipla. – Mica è stato facile – ricorda Alpini – molti di loro avevano il desiderio di stare assieme, di uscire dalle loro case, ma non erano particolarmente inclini al teatro, in parte anche a causa delle esperienze passate in cui erano stati costretti a fare solo improvvisazione.

Tutti d’accordo nel definire il laboratorio un’esperienza ricreativa di intrattenimento con un grande valore sociale. Ma Silvano è un regista, e vuol fare teatro. Non si accontenta di rendere felici i ragazzi mettendoli su un palco. Lui vuole uno spettacolo che appassioni anche il pubblico. La sua indiscussa sensibilità aiuta a gestire gli ostacoli, fa crescere lo spirito di squadra, il rispetto reciproco e l’amicizia, oltre a favorire le peculiarità di ciascuno soprattutto in considerazione dei ruoli. Un magico e armonico intreccio tra le diverse predisposizioni individuali, anche artistiche, e le diverse esperienze, il tutto tenendo conto delle difficoltà derivanti dai traumi subiti da ciascun membro del gruppo, e incoraggiando il coinvolgimento di ognuno fin dalle prime fasi della creazione teatrale, comprese le scelte relative all’espressione delle emozioni. Chiunque può essere un attore, a patto di desiderarlo davvero.

Nel 2014, la prima messa in scena, uno spettacolo sulla Shoah, scritto assieme a tutti i membri del gruppo utilizzando materiale proveniente da libri su Mathausen. Un successo, struggente e coinvolgente. Gli attori sul palco riescono a trasmettere emozioni e notevoli spunti di riflessione.

Così, anno dopo anno, la compagnia cresce, si perfeziona ed attraversa autori e testi teatrali classici o contemporanei fino a cimentarsi, quest’anno, nell’esilarante interpretazione ironica e appassionata della Divina Commedia di Dante.

Un punto di forza del nuovo lavoro è stata l’inclusione di allievi che frequentano corsi teatrali presso l’Associazione di Teatro, compresi bambini e adulti. Un interessante ed inclusivo tentativo di rendere il teatro il più autentico e professionale possibile, portandolo in luoghi in cui molte persone esitano ad esplorare. Il teatro, raccontano in coro, rende tutti più umani, e A.tra.C.To è un esempio perfetto di come questa forma di arte possa unire le persone. Il teatro come terapia, si usa dire. Sì, ma per tutti.
“La nostra Divina Commedia: Come distruggere Dante in quattro e quattr’otto”, titolo dello spettacolo, è un progetto teatrale nato dalla voglia di esplorare l’ironia e la comicità. Sul palco Dante, Virgilio, Beatrice, Francesca da Rimini, Caronte, Pia de Tolomei, Dante il Macellaio, il Paradiso, l’Inferno, il Purgatorio, la Giustizia e altri personaggi tratti dall’opera di Dante Alighieri, in una trama che si svolge sia nel passato che nel presente, in una confusione di tempi ed episodi.

“Enfatizzare l’inclusione e la parità, forse, il primo obiettivo, ma oggi, forse, nemmeno l’unico”

Beatrice si occupa della vendita di lampredotto e vini, Caronte è il direttore di un’impresa funebre, il Conte Ugolino è un agente immobiliare, mentre tutto si sviluppa in una piazza fiorentina in cui una moltitudine di personaggi interagiscono. Dante e Virgilio, gli unici due che cercano di dare un senso a questa follia surreale, sono anche loro coin- volti in situazioni bizzarre.

Il cast di attori è composto da Stefania D’Amico, Alessia Centi, Leonardo Crulli, Tania Falsini, Lorenzo Giusti, Daniele Giuliani, Daniela Gori, Stefano Grazi, Laura Gullo, Laura Meucci, Simona Rotundo, Silvano Alpini e Tiziano Prosperi. Ogni prova per lo spettacolo, racconta Alpini, anche con una certa fierezza, è un momento di divertimento e creatività, con alcuni attori che hanno bisogno di avere i loro oggetti personali come trapani o telefoni, e alcune battute che vengono improvvisate in base agli eventi del momento.

L’opera ha ricevuto una grande accoglienza nelle scuole ma è finita anche in numerose programmazioni, dal Valdarno a Grosseto, ad Arezzo. Una delle ultime performance della stagione si è svolta a Panzano in Chianti, davanti a una sala gremita. Uno spettacolo, per la verità, già cominciato prima di andare in scena, con gli attori impazienti ed emozionati nei camerini che chiedevano contemporaneamente tutti i loro costumi o i loro oggetti di scena. Qualcuno che ripassava il copione e altri che avevano fame. “Buonasera signorina, lo vedi come sono elegante?” Si, anche qualcuno che, come in tutte le migliori compagnie, lanciava avance alle volontarie della Casa del Popolo. Quella sera, in ogni caso, questi eccezionali commedianti hanno riaperto il sipario di un teatro che provava a rinascere. Il pubblico scoppiava di riso e si moltiplicavano gli applausi. Sociale e cultura, forse, in quella occasione, si sono dati davvero una mano, o meglio un abbraccio.

Siete contenti di aver avuto tutto questo gran pubblico per il vostro spettacolo? domanda l’organizzatrice della rassegna panzanese, pensando di sottolineare il successo del sold out in sala.

Mah… per la verità noi siamo abituati ad averne molto, ma molto di più! – risponde il Caronte di scena con la superiorità dell’attore di successo! Tutti ridono mentre Silvano Alpini, osservando quel pubblico che esce così soddisfatto dallo spettacolo, continua a pensare che A.TRA.C.TO. non è solo inclusione ma anche teatro.

Sul palco quella sera, prima dello spettacolo, c’è stato anche l’abbraccio di Dario Cecchini e un omaggio fatto declamando il suo Conte Ugolino e tutto il XXXIII canto dell’Inferno. “Hai detto tutto te Cecchini” aveva rimproverato dopo il Caronte sul palco. “A questo punto si può andare via!”. In realtà, i ragazzi, non sarebbero mai voluti ripartire se non fosse stato per l’Alpini Nicholson che, finito lo spettacolo reclamava, suonando insistentemente il clacson, che gli attori uscissero di scena per salire nel loro vecchio pulmino.